Aprire un conto corrente bancario a Malta per chi non è maltese resta un’impresa ardua.
Ne è la prova una diffusa sensazione di smarrimento che ha fatto diventare virale sui social l’articolo di approfondimento sul tema pubblicato da Lovin Malta.
Nonostante le principali testate giornalistiche o emittenti televisive locali mantengano un certo silenzio, il problema è sempre più sentito e dibattuto nell’opinione pubblica.
Secondo Lovin Malta, il tentativo di aprire un conto bancario ha raggiunto livelli ridicoli. È più facile andare sulla luna. Chiedendo informazioni al servizio clienti telefonico delle principali banche maltesi (BOV, HSBC, BNF, APS) la procedura per aprire un conto sembra molto semplice: basta presentarsi in una filiale con un documento d’identità, un contratto di affitto, un’autodichiarazione.
Ma in realtà, una volta che si arriva sul posto, si scopre molto dipende anche dall’aspetto del richiedente o dall’umore dell’impiegato di banca al momento della richiesta. Sembra che le banche possano chiedere ogni singolo documento noto all’umanità come elemento disincentivante per raggiungere l’obiettivo (come la referenza di buona condotta di una banca del proprio paese di origine), e anche quando si riesce a raccogliere tutto, spesso si devono attendere mesi (ma anche fino a un anno!) per disporre del conto.
Eppure un regolamento dell’Unione Europea parlano chiaro: tutti i lavoratori hanno diritto di aprire un conto corrente in un paese straniero dell’area Euro, specialmente se in quel paese si stanno pagando le tasse. Ma le banche maltesi non sembrano intimorite di fronte a questo.
Secondo Lovin Malta, questa situazione deve finire immediatamente. E anche secondo centinaia di utenti che intervengono sui social per condividere la loro frustrazione: non solo stranieri che toccano con mano il problema, ma anche maltesi che hanno a cuore la reputazione del loro paese e credono nella necessità di favorire l’ingresso di lavoratori da fuori paese per continuare a sostenere la crescita economica nazionale.
Perché il “go back to your country”, invito sempre rinnovato per chi si lamenta troppo, potrebbe essere invece mal digerito se costringesse al rimpatrio persone oneste, laboriose e rispettose a causa di disservizi di base.