Liliana Cavani, regista e sceneggiatrice italiana, attiva dietro la cinepresa dal 1961, è una lucidissima, pungente, affascinante donna di inesauribile cultura che, nonostante le innumerevoli interviste, ha ancora tanto da raccontare.
Ci riceve cordialmente, prima della sua visita al Caravaggio (che la commuoverà, ammette dopo) per una chiacchierata informale, insieme al Direttore dell’Istituto di Cultura, Massimo Sarti, che ha gentilmente organizzato l’incontro.
L’arcipelago maltese è un’importante location per set cinematografici e televisivi, tanto da essere soprannominata dal London Times come la “Mini Hollywood del Mediterraneo”. Qui sono stati girati film di successo, come Il gladiatore, Il Conte di Monte Cristo, Troy, Munich, World Word Z e la prima stagione della serie tv Game of Thrones. Cos’ha Malta di così scenografico, che si presta alla macchina da presa, secondo lei?
Malta è stata la sede di civiltà diverse e per questo in essa sono presenti diversi stili, è particolare proprio in questo senso: si presta proprio alla macchina da presa. Nonostante le sue dimensioni, non è un’isoletta, è un complesso di popoli e culture che si sono alternati e questo la rende unica nel suo genere, assolutamente interessante anche solo da osservare.
È qui a Malta ad onorare il Valletta Film Festival 2019 con una masterclass al Valletta Campus Theatre e, il suo thriller, Il portiere di notte, uno dei suoi più grandi successi, è stato proiettato per ben due volte. Da cosa è scaturito questo invito e la scelta specifica di questo film?
Ho ricevuto l’invito da Gaetana Marrone che insegna alla Princeton University e che parecchi anni fa ha scritto un libro sul mio cinema. Sono qui grazie ai suoi contatti, alla sua amicizia con la Prof.ssa Gloria Lauri Lucente dell’Università di Malta che insieme al suo entourage mi ha accolto benissimo: sono persone molto in gamba, mi sono trovata molto bene con tutti loro. La scelta di proiettare questo film specifico non è stata mia.
A proposito di film, qual è, fra i suoi, quello che l’ha soddisfatta di più e perché?
È difficile trovare una risposta a questa domanda perché sono affezionata a tutti i film che ho girato. Li ho fatti sempre per esperienze che mi interessava fare, per capire, perché sono una donna molto curiosa: per esempio ho fatto un film su Milarepa e pensavo di girarlo in Tibet ma poi invece l’ho girato in Abruzzo, perché ci sono delle atmosfere che lo ricordano: non me lo sarei mai aspettata. I miei film non sono tradizionali e anche se sono piaciuti, hanno avuto una certa difficoltà ad uscire perché per arrivare ad un grande pubblico ci vuole una grande distribuzione come è accaduto per La pelle e Il Portiere di Notte. Il Portiere di notte, lo annovero tra i film più intriganti che ho girato, insieme a uno dei tre Francesco, in particolare quello con Mickey Rourke del 1989. Entrambi sono film riuscitissimi, sono stati molto apprezzati e sono stati visti un po’ ovunque. Il portiere di notte è diventato un successo a Tokyo, a Londra, a New York.
Mickey Rourke, Charlotte Rampling, un giovane Gianni Amelio aiuto regia, Ennio Morricone, Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, John Malkovich. Com’è stato lavorare con artisti di questo calibro? Ha qualche aneddoto da raccontarci?
Mi viene in mente la prima mattina delle riprese de Il portiere di notte quando ho girato la scena in cui ci sono tutti i prigionieri, nudi, che vengono catalogati dalla SS. C’era il marito di Charlotte Rampling che ha letteralmente fermato le riprese precipitandosi verso l’aiuto regista. Non voleva che la moglie si mostrasse senza vestiti. La situazione in realtà fu imbarazzante per me: io ho studiato la storia del Terzo Reich, tutta documentata da cronisti di guerra… i fatti si sono svolti proprio così, non avrei potuto cambiare la scena per la sua gelosia!
Lei ha lavorato con le piccole e le grandi produzioni. Ha girato dei film e dei documentari per la Rai. Il cinema sta cambiando e non mi riferisco solo alla tecnica, ma anche al modo in cui adesso viene fruito dagli spettatori. Qual è la sua opinione, in questo senso sulle serie tv proposte da Netflix, Amazon Prime e altre piattaforme di streaming?
Il racconto per capitoli, per episodi, esiste da sempre e ha il suo fascino: si pensi alla Divina Commedia, ai canti di Omero o ai più “recenti” romanzi d’appendice. Capisco che adesso fare le serie tv è importante, ma non possiamo perdere il romanzo cinematografico singolo perché è da li che vengono i veri spunti che ci fanno conoscere la realtà esatta del nostro tempo. Le grandi produzioni purtroppo finanziano ciò che soddisfa ed è richiesto dal pubblico e molti lavori vengono respinti perché non possono essere serializzati. Ma guai a noi se facciamo morire il cinema, sarebbe come far morire la letteratura, mai uniformarsi solo per seguire una tendenza.
In che modo è arrivata al cinema e, in particolare, alla regia?
Andavo al cinema già a quattro anni perché mia madre, appassionatissima, adorava il cinema e mi ci portava. Ho amato i film di Bergman, di Bresson, film che non si vedevano al mio paese perché “particolari”. Adoro in generale i film che mi danno un punto di vista nuovo. Il cinema secondo me deve essere questo: deve essere letteratura per immagini. Il regista non deve dipendere dai sistemi ma riuscire ad emanciparsi e a risultare singolare, innovativo; deve riuscire a raccontare qualcosa che gli altri non hanno ancora pensato.