Il poeta Davide Rondoni è stato a Malta in occasione del XIV Festival Mediterranju tal-Letteratura ta’ Malta.
Il nostro Carlo Campione ha avuto l’occasione di intervistarlo presso l’Istituto Italiano di Cultura a Valletta, grazie al suo direttore Massimo Sarti.
Carlo: Sono davvero contento di potere fare la tua conoscenza, nonostante la poesia sia una parte molto importante della mia vita non ho mai avuto l’occasione di conoscere e tanto meno intervistare un poeta di indubbia fama come te.
Come tanti hai una formazione universitaria umanistica, ma come pochi sei riuscito a fare della tua passione un lavoro. Raccontaci quali sono state le tappe fondamentali che hanno fatto di te un poeta a tempo pieno, e quali sono secondo te le qualità e le condizioni affinché il sogno di diventare artista della scrittura possa diventare realtà.
Davide Rondoni: «Intanto correggiamo una cosa: nessuno fa il poeta a tempo pieno, nel senso che la poesia è un’arte e non una professione. Io passo la maggior del mio tempo a studiare o a scrivere attorno la poesia e questo tempo non me lo paga nessuno, poi per campare ho preso alcune decisioni e qui vengo alla tua domanda. Per motivi di giudizi culturali ho ritenuto, quando ho finito l’università, di non entrare in quel mondo, di non diventare dipendente di nessun giornale e di nessuna casa editrice, e di fare tra virgolette il libero professionista.
Un po’ per temperamento personale, un po’ per giudizio, mi sembrava che in quegli ambienti – e successivamente la storia mi ha dato parzialmente ragione – si stesse consumando una crisi che ha dei motivi che tu conoscerai bene, sono infatti tutti ambiti di trasmissione del sapere letterario ed umanistico che sono in crisi, si tratta di un paradigma che è cambiato, un vecchio paradigma illuministico enciclopedico che ormai è morto, e di conseguenza tutto quello a lui connesso, come la scuola, l’università, ed anche i giornali che sono l’enciclopedia quotidiana, un paradigma già sbagliato in origine che oggi non regge più.
A vent’anni avevo già capito che occuparmi di letteratura all’università, sui giornali o per una casa editrice tradizionale avrebbe significato stare in un posto senza più spinta, senza più propulsione, ho quindi deciso di scrivere libri di poesia e fare tante altre cose, per campare quindi faccio una trasmissione in televisione.»
Carlo: Quindi cosa consiglieresti a chi volesse intraprendere una strada simile alla tua, che è molto difficile da percorrere?
Davide Rondoni: «Oggi nulla è facile, intanto per occuparsi della poesia, per scrivere buone poesie, non c’è un tipo di vita. Io sono sempre in giro, ma un altro può rimanere sempre nello stesso posto e scrivere delle belle poesie. Il mio consiglio per occuparsi seriamente di poesia è quello di “andare a bottega”: io a 18 anni quando feci il mio primo libro mandai le mie poesie a Mario Luzi e Giorgio Caproni, due grandi poeti di allora dai quali andai a bottega.
Per imparare l’arte secondo me non c’è altro modo, i miei rapporti con loro furono essenziali, io scrivo comunque in modo del tutto diverso da loro, è evidente un loro influsso nella mia opera; a bottega non si impara a fare come il maestro, si impara dal maestro per fare sé stessi.
L’altra cosa è un po’ più generica, sai che scrivere poesie in italiano è una bella responsabilità perché hai Dante che ti guarda, Petrarca che ti guarda, Montale, Ungaretti e Leopardi… lo devi fare con la massima umiltà ma anche serietà. Se cazzeggi si vede, devi accettare la sfida.»
Carlo: Questo è il motivo per cui non amo far leggere le mie poesie, almeno non tutte.
Davide Rondoni: «Devi però stare attento, può essere una forma di orgoglio travestito, se vuoi fare sul serio devi mandarle a qualcuno, le invii ad un artista ed in caso farti dire da lui che fanno schifo, oppure che si possono migliorare. Io ricordo la prima risposta che mi diede Caproni ad un malloppo di mie poesie che gli mandai: mi rispose in una letterina “come il sarto che tasta la stoffa, la stoffa è buona vai avanti, la poesia a pagina 25 è molto buona, in quella a pagina 21 stai attento c’è un problema”, è una metafora che mi è rimasta in mente, il vestito che hai confezionato devi farlo vedere ad un sarto, non ad uno che passa per la strada.»
Carlo: Ti invierò quindi delle mie poesie allora, tanto son poche, ti chiedo di essere sincero e spietato.
Mia nonna pubblicò alcune sue raccolte di poesie, e mi leggeva i suoi componimenti sin da bambino, quindi l’origine del mio amore per la poesia, e la mia esigenza irrefrenabile di scrivere, potrebbe avere in questo la sua origine. Perché secondo te la poesia sin dall’alba dei tempi ha un effetto magnetico, quasi ipnotico per l’essere umano?
Davide Rondoni: «Il linguaggio poetico nasce prima della scrittura, si trasmetteva oralmente: questo è il motivo della sua ritmicità perché la voce avendo un ritmo rende le cose memorabili. Questo poi si trasferisce nella scrittura, pensa a Dante che veniva trasmesso inizialmente oralmente perché la scrittura era di pochi. Il linguaggio poetico non nasce per un esercizio letterario, ma perché quando un uomo si avvicina alle cose importanti della vita tende a cercare un linguaggio più vivo, più espressivo e quindi anche più ritmico e metaforico.
“Big bang”, detto dai miei amici scienziati, è una metafora poetica: “luce fossile”, “dark energy”, “ti amo da morire” sono delle metafore poetiche. Tutte le volte che un uomo si avvicina alle cose importanti della vita, chissà perché, deve accedere ad un livello poetico del linguaggio, e quando questo si formalizza in oggetti d’arte attraverso una tecnica, questi hanno – come dicevi tu – una capacità magnetica unica, una presa di attenzione come nessuna altra cosa, nemmeno la musica, perché la voce umana che dice L’Infinito di Leopardi ha una potenza sull’ascoltatore più forte anche di Beethoven, perché c’è dentro la componente umana, quindi corporea, che nella musica non c’è.»
Carlo: A differenza di altri poeti non ti sei limitato solo alla poesia, ma anche alla narrativa, ai saggi, al teatro, hai tenuto corsi di letteratura in varie università, scrivi per vari giornali, fai tv, ed hai fondato il Centro di poesia contemporanea all’Università di Bologna. Consideri le altre attività come “accessorie” o le reputi una sorta di completamento come autore, un modo di esprimere qualcosa che con la poesia non è descrivibile o comunque non comprensibile ai molti.
Davide Rondoni: «Non è tanto quello, non è il fatto che faccio un romanzo o un articolo di giornale perché con la poesia non si può dire qualcosa di comprensibile a tutti. Credo che sia un’altra la questione, non solo nel mio caso: la poesia fa parte della cultura umana, la poesia non è una parte isolata della cultura, anzi, vive di continue relazioni con essa, per questo accade molto spesso che un artista della poesia usi la parola per fare cultura, per intervenire su di essa, dando alla parola cultura l’accezione più larga. Se faccio un articolo sulla politica come teatro lo faccio da poeta, non sono un politico, perché la parola del poeta può dire qualche cosa su tutto, su tutta la cultura, ed il modo in cui tu parli della cultura sono strumenti come gli articoli di giornale, l’intervento televisivo, o il romanzo se vuoi raccontare una storia. Io quindi non ho mai concepito la poesia come una cosa a parte dal resto della cultura e della civiltà, anzi, secondo me è un errore considerarla come una cosa a parte. Ha solo una sua specificità, una sua particolarità, se vuoi un suo prestigio.
La poesia non è isolata, anche perché le linfe che nutrono la poesia sono le linfe che nutrono la vita, che è fatta di cultura, di società, del tuo rapporto con il mondo. Nessun poeta vive per aria, tanto è vero che se vai a vedere anche storicamente i più grandi poeti, da Dante a Shakespeare, solo per fare due nomi, sono delle persone molto calate nel loro tempo, nella loro cultura, e capaci di giudizi anche notevoli e spesso controcorrente. Pensiamo ai messaggi di Baudelaire e di Leopardi, o a quello che diceva Dante: capisci che è gente che la propria epoca l’ha sofferta.
Anche Emily Dickinson, che è rimasta isolata apparentemente nella sua villa, senza rapporti con il mondo, è una che nelle sue poesie sta parlando da poetessa mistica quale era, della verità dell’epoca del 1800 americano. Se guardi oltre i soliti luoghi comuni nessun poeta vive isolato dalla società e dalla cultura della sua epoca, è più un’idea scolastica e banale che un poeta non intervenga in qualche modo sulla società.»
Carlo: Conduci in tv il programma di poesia Antivirus dedicando ogni puntata ad un autore, leggendone i versi e spiegandone la poetica. In una tua intervista parlavi delle reazioni che avevano avuto persone di ogni parte d’Italia nel sentire i versi de L’infinito di Giacomo Leopardi, e commentavi giustamente l’approccio secondo te (e secondo me) sbagliato di molti insegnanti nello spiegare la Letteratura come una sorta di “cronostoria” degli autori, invece di soffermarsi sulle opere e di come “ le parole possano reagire con la tua vita”.
Davide Rondoni: «Ho fatto un libro molto violento che si chiama “Contro la letteratura”, contro l’insegnamento attuale della Letteratura nella scuola. Rispetto al punto che tu tocchi credo che ci sia un elemento su cui tutti i poeti son d’accordo: non si interpreta l’opera di un poeta attraverso la sua vita, questo lo diceva Leopardi di sé e lo dico anche io, non voglio che sappiate quella sera lì con chi ero a cena quando è nata quella poesia, sennò ve lo racconterei. Se un poeta volesse far sapere della sua vita andrebbe da Maria de Filippi come fanno in tanti.
Pensa a Leopardi ed alla poesia “A Silvia”, la signorina in realtà si chiamava Teresa, quindi evidentemente non vuole raccontare i fatti suoi, la poesia quindi non ti è data tanto per indagare la vita di chi l’ha scritta, ma perché con quelle parole ti permettono di indagare meglio la tua, anche perché quella di Leopardi se l’è vissuta lui; presumere con tre paginette di un sussidiario scolastico di sapere della vita di un uomo vissuto duecento anni fa è tra il ridicolo ed il patetico, non sai neanche la vita del tuo vicino di casa e vuoi sapere della vita di Giacomo Leopardi? Pensando di interpretare psicologicamente l’opera di un genio perché sai quattro cazzate sulla sua vita?
Anche se tu studiassi la sua biografia giorno per giorno non potresti farlo, sarebbe surreale, quindi è un metodo sbagliato, ma c’è un motivo per cui questo metodo è stato usato: perché l’arte è tellurica, mette in gioco delle questioni scomode. Allora è meglio occuparsi della vita dell’autore, del contesto storico, perché ad un ragazzo di 17 anni è più comodo chiedere quando Leopardi ha scritto questa poesia, invece che discutere con il ragazzino se è funesto nascere. Han deciso quindi di ammansire la letteratura: infatti a scuola non c’è Letteratura o Arte, ma Storia della Letteratura e Storia dell’Arte, questa è una scelta culturale.»
Carlo: Anche se per pochissimo tempo, grazie a Malta, ho potuto insegnare in una secondary school, ed ho capito che anche materie spesso odiate come la Storia possano essere apprezzate dagli studenti se affrontate dall’insegnante in maniera non convenzionale, cosa pensi della scuola italiana di oggi, anche se mi hai già dato una risposta.
Davide Rondoni: «Da chiudere, la scuola italiana di oggi è da chiudere, è un posto surreale dove avvengono cose surreali, te lo fanno capire nel momento in cui la scuola di oggi si misura. Hai visto i risultati delle cosiddette prove invalsi? Che sono le ovvie conseguenze di questo metodo, la valutazione di questo metodo produce risultati surreali, i campani son tutti scemi, i calabri son tutti coglioni, però prendono voti più alti agli esami di maturità, ma non sanno la matematica o l’italiano, quindi stranissima questa cosa, e però stranamente i calabri comandano la malavita a Reggio Emilia quindi non sono forse tutti coglioni!»
Massimo Sarti: Il tuo giudizio sulla scuola è sopratutto sulle materie umanistiche o più in generale?
Davide Rondoni: È un impianto generale, che secondo me nelle materie umanistiche vive la sua crisi maggiore, ma non è che il resto stia meglio. Il problema non è solo in Italia, è un problema dell’Occidente, è un paradigma vecchio di 400 anni; si è deciso che un ragazzo debba avere la mini enciclopedia fornita dallo stato per diventare un buon cittadino:ammesso che fosse giusto adesso non funziona più.
Nascono festival letterari ovunque. Il mio amico Benigni con Dante fa 800.000 spettatori e gli italiani a scuola odiano Dante, il problema non è quindi Dante ma la mediazione, il motivo per cui sono arrabbiato non è tanto l’aspetto politico, che a me non interessa, ma se tu ad un ragazzo di sedici anni gli sottrai la possibilità di fare i conti seriamente con dei grandi autori come Manzoni, Leopardi, Ungaretti, poi con chi fà i conti su cos’è morire, amare, nascere e soffrire, lo fà con la televisione. Non me li fai fare bene con Leopardi ed io li faccio con la De Filippi! Questo è il dramma.»
Carlo: I giovani devono avere infatti delle fonti da cui attingere queste emozioni. Adesso siamo, come la definisco io, già alla seconda Maria De Filippi generation. Questo vale per tutti i campi del sapere, come ad esempio la Storia, forse la materia più odiata dai giovani, che deve essere un po’ meno basata sui fatti, sulle nozioni e di più sulle persone, sull’umanità o meno di personaggi storici, sia positivi che negativi.
Cosa pensi della traduzione delle poesie in altre lingue? In certi casi la traduzione è davvero difficile, io spesso mi appoggio ad un mio amico interprete per far tradurre le mie poesie in inglese.
Davide Rondoni: «Io insegno in corsi di traduzione, ho tradotto dal francese Baudelaire, quando inizio i miei corsi dico sempre che in paradiso non ci saranno traduttori, perché in paradiso io entro da quella porta dico “a” e ci capiamo, qui anche se parliamo la stessa lingua facciamo fatica a capirci, la famosa storia della Torre di Babele dice che qui è un gran casino, quindi non c’è una possibilità di identità, c’è sempre l’interpretazione.
Dante diceva che non si può trasmutare una lingua in un altra , la trasmutazione è quella che fanno gli alchimisti, il traduttore non può trasmutare la natura dell’italiano in francese, deve fare un rapporto, un’interpretazione, lui non deve diventare me, deve essere se stesso e nel rapporto nasce una cosa nuova.
La traduzione è meravigliosa, non sarà mai identica all’originale, un italiano deve essere bravo a scrivere nella sua lingua, infatti la maggior parte delle traduzioni sono brutte perché uno non sa scrivere nella propria lingua, e non perché non conosce quella dell’altro. Le più belle traduzioni di Shakespeare le ha fatte Ungaretti. che non sapeva l’inglese.»
Insieme a Davide Rondoni e Massimo Sarti abbiamo poi parlato del rapporto fra cinema e poesia, potete ascoltare l’intervista integrale qui: Intervista a Davide Rondoni.
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