Rappresenta un lascito non indifferente il libro “The bilingual brain” di Albert Costa, ricercatore universitario morto prematuramente a fine 2018. Oltre ad avere una cattedra presso l’Università Pompeu Fabra di Barcellona, Costa dirigeva il gruppo di ricerca su riproduzione vocale e bilinguismo presso il Centre for Brain and Cognition della capitale spagnola.
Insegnare ai propri figli almeno due lingue fin dalla tenera età è ciò che li renderebbe “smart” una volta diventati adulti. Questo è il vantaggio cognitivo principale che, secondo Costa, il bilinguismo comporterebbe.
I neonati, infatti, riescono a recepire le differenze linguistiche sin dalle prime ore di vita. Dai quattro ai sei mesi sono in grado di distinguere, ad esempio, l’inglese dal francese, semplicemente osservando i movimenti articolatori della bocca di chi parla. Allo stesso modo, entro gli otto mesi possono recepire i suoni di altre parole straniere e a memorizzarle dividendole in sillabe. Col tempo, il neonato bilingue impara ad essere abile nel “code-switching”, ossia nell’inibire una lingua “accendendo” l’altra quando necessario (il cosiddetto “green-lighting”).
Se è vero che nelle prime fasi di crescita il cervello umano è più aperto all’apprendimento linguistico, già da adolescenti i bilingue sviluppano qualche difficoltà nel ricordarsi il nome degli oggetti comuni nella lingua predominante. Non è un caso che il vocabolario dei bilingue adulti in entrambe le lingue madre sia più ristretto rispetto a quello di chi parla una lingua sola. Se ciò identifica un certo svantaggio, quel che è certo è che i bilingue tendono a sviluppare meno pregiudizi in età adulta. Infatti, rispetto ai coetanei monolingue hanno il 30% di possibilità in più di riuscire a costruire un puzzle unendone i singoli pezzi, attraverso un metodo di giudizio obiettivo.
I bilingue hanno, poi, un maggiore controllo dell’attenzione: il fatto di ignorare inconsciamente metà delle parole immagazzinate nel loro cervello per tutta la vita li rende meno propensi a farsi condizionare dalle distrazioni quotidiane e li porta ad essere più concentrati sul raggiungimento degli obiettivi.
Un adulto che abbia appreso due lingue da neonato svilupperà anche una certa profondità culturale nonché una migliore capacità decisionale. «I bilingue sono meno istintivi e impulsivi (quando pensano) in una lingua straniera, più capaci di essere utilitaristici e freddi», scrive Costa. Ad esempio, di fronte alla scelta di spingere o meno un uomo davanti a un treno per salvare altre cinque vite umane, i bilingue rispondono in modo più razionale che moralista se prendono la decisione pensando in una lingua non nativa.
Infine, conoscere due lingue a livello madre darebbe accesso a una migliore capacità di problem solving. La correlazione bilinguismo-resilienza è stata esaminata dalla neurologa Suvarna Alladi e dal suo gruppo di studiosi del National Institute of Mental Health and Neurosciences di Bangalore, in India. La loro ricerca medico-scientifica ha dimostrato che l’attività cerebrale indotta dal code-switching rafforza le connessioni neuronali. «È come se il bilinguismo fosse in grado di proteggere il cervello, rafforzandolo». In situazioni di emergenza, dunque, il cervello bilingue è in grado di resistere, ossia di sopravvivere.