Con la sconfitta di ieri sera a Wembley cala definitivamente il sipario sulla tanto decantata sportività degli inglesi. La patria del fairplay si rivela per quella che è: una nazione fatta di ingiustificata presunzione che trae origine da un orgoglio che non avrebbe più motivo di esistere, fondato sui fasti di un impero che non esiste più da tempo (allora, noi che abbiamo avuto l’impero più vasto e potente della storia, quello romano, cosa dovremmo fare?), e di non accettazione della realtà che la circonda.
L’inghilterra perde in campo e fuori da tempo e gli inglesi, quasi tutti, non accettano le continue lezioni che la storia elargisce al popolo britannico.
Ieri sera è stato il culmine di tutto ciò. Esagerato? Mica tanto. Basta pensare come si è arrivati a questa gara. Un campionato europeo perso in casa e costruito per essere vinto dagli inglesi. Tutto questo con la complicità dell’Uefa che è riuscita pure a convincerli a non rovinare la manifestazione con la pantomima delle sanzioni per la nascita della Superlega, alla quale le società inglesi hanno aderito di loro sponte, senza avere una pistola alla tempia, salvo fare inversione da cuor di leone alla prima minaccia di Ceferin di portare via il giocattolo da Wembley.
Ma è proprio vero che il diavolo fa le pentole e non i coperchi. Perché l’Inghilterra in questa finale non doveva proprio esserci. Ne sanno qualcosa quelli della Danimarca che hanno dovuto masticare amaro per un rigore regalato da arbitro e Var sul tuffo di Sterling che, a questo punto, potrebbe anche ambire a giusta causa ad un posto per Tokio per cimentarsi finalmente nella specialità che gli compete: il trampolino.
La presunzione di essere i migliori (?) è sempre forte da quelle parti e quindi dell’Italia si fa un sol boccone. Ed invece “it’s coming home” si è trasformato in “it’s coming Rome”. Ed il micidiale cocktail tra presunzione e delusione fa perdere anche quel poco di dignità rimasta. Per la verità l’avevano persa già alla vigilia di questa gara: prima tatuandosi la coppa su bracci e polpacci, poi fischiando l’inno italiano a Wembley.
Ci hanno pensato Bonucci e soci a mettere il carico da novanta. La sconfitta dell’Inghilterra non è avvenuta ai rigosi ma molto prima. Escluso il gol di Shaw, chiaro regalo della difesa azzurra, e buona parte del primo tempo, per il resto dell’intero match l’Italia ha giocato e chiuso la formazione di Southgate nella propria metà campo, dando una lezione di calcio ai presunti depositari del gioco del pallone. Una lezione che ha fatto felici in tanti e non solo in Italia. Sfido a chiedere ad amici in giro per il mondo per chi hanno fatto il tifo le altre nazioni. Sotto sotto, tutte o quasi, hanno sperato in un successo degli azzurri contro la boria d’oltre manica. Anche Malta si è trovata divisa ma il cuore tricolore da sempre batte più forte e sincero di quello inglese. Dappertutto nel mondo i media celebrano il meritato successo dell’Italia, tranne che nella terra di Albione.
Che dire del dopo partita. Per una squadra che alla cerimonia di premiazione viene onorata dagli applausi degli avversari, sale sul palco, riceve la medaglia che viene immediatamente tolta dal collo ed esce dal campo senza neanche aspettare la proclamazione dei campioni d’Europa non trova altra definizione: rosiconi. Altro che sportività e faiplay!
E vogliamo parlare di quello che è successo quando le luci di Wembley stavano per spegnersi, con la brutale e vergognosa aggressione agli inermi tifosi italiani con l’avallo degli stewads presenti? E della caccia all’italiano fuori dello stadio? E delle bandiere tricolori strappate e calpestate per le strade londinesi?
Allora è proprio vero che l’Inghilterra l’ha persa in casa e fuori. La lezione, the italian job, è stata servita su di un piatto d’argento. Dio vede e provvede… e non salva la regina!
Comunque la richiesta di uscire dall’Europa fa parte di tutta questa espressione di arroganza Noi, da buoni scaramantici, festeggiamo dopo che il gatto è nel sacco.
Il gioco del calcio è una scienza incerta da questo è definitivo “gioco” e anche un’occasione una fatalità può decretare la vittoria.
Ma mettere un diciannovenne come ultimo rigorista contro il miglior portiere al mondo come avversario è cercarsi un problema.