Il ricordo personale dell’autore che, compiendo un salto nel tempo, rende omaggio non solo alla memoria del Papa emerito Benedetto XVI, ma anche all’uomo, Joseph Ratzinger.
Così se n’è andato anche Papa Ratzinger, l’amato Papa Benedetto XVI, si è spento.
I miei ricordi di questa gigantesca figura, uno dei più grandi intellettuali, filosofi e teologi che la Chiesa abbia mai avuto, risalgono agli anni ‘90, l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, che accompagnava Papa Wojtyla in qualità di Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede e come suo primo “consigliere”.
Dotto e votato a Gesù, supremo Teologo, una stella nel cielo della teologia. I suoi libri, che da tempo sono diventati dei classici, ci mostrano che la fede non è un elenco di proibizioni ma soprattutto un rapporto di amicizia con Dio.
Quando lo incrociavo in Vaticano o in Piazza San Pietro, minuto, nel suo soprabito nero e con l’immancabile borsa nella mano destra, quel cardinale tedesco della Baviera del sud, mi appariva mite, timido, gentile e di poche parole. Mite sì, ma coraggioso. Pur lavorando in silenzio, non dispensava la Chiesa da critiche. Come dimenticare la sua accusa, ancora cardinale, durante le meditazioni della Via Crucis al Colosseo, nel 2005, quando diceva senza tanti giri di parole: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!». Per i teologi progressisti, Ratzinger è sempre stata una figura scomoda, sia da professore, che da Vescovo, nonché da Prefetto e, sono convinto, più che mai da Papa. Ha sopportato anche i traditori, ma non è mai stato un Pontefice debole, come lo volevano far passare i suoi detrattori. È stato uno che preferiva ascoltare, più che dire la sua. Uno che non ha mai amato i toni roboanti ma il dire netto. La sua specialità era saper districare le cose complicate.
Maestro nel predicare in modo accessibile anche sui temi più complessi, in quasi otto anni di pontificato ha incontrato milioni di persone, ha compiuto decine di viaggi all’estero e in Italia, ha scritto diverse encicliche mettendo al centro l’amore e la speranza.
Per me era una persona amabile e, nella sua amabilità, mi procurava una certa simpatia. L’ho sempre apprezzato. Mi colpivano la sua sicurezza, la sua passione, la ricchezza della lingua, l’onestà dell’analisi, i suoi discorsi brillanti, il suo coraggio di andare controcorrente esprimendo idee “passate di moda”. È stato il più autorevole collaboratore di Papa Giovanni Paolo II nel governo centrale della Chiesa. Anzi, Papa Wojtyla, vedeva in lui il più accreditato e auspicabile dei propri possibili successori, una risorsa di cui la Chiesa non poteva privarsi.
All’improvviso e inaspettatamente, quel 19 aprile 2005, la decisione dei Cardinali riuniti in Conclave, di sceglierlo come 265° successore di San Pietro e vicario di Cristo sulla Terra, gli sembrò una “mannaia” che gli calava addosso, come Egli stesso ebbe a dire. E quando un giornalista tedesco gli domandò se, in seguito, si fosse pentito di quelle parole, Egli con fermezza rispose: «No, la sensazione fu semplicemente quella, una ghigliottina».
Nel corso del suo breve pontificato, tra le tante cose, ha posto i temi della povertà e dell’Africa, dei giovani, dell’ecumenismo e dell’annuncio della fede al mondo ormai secolarizzato. Ha rilanciato e rinnovato la dottrina sociale della Chiesa, rendendola più aderente ai tempi difficili del mondo, tra globalizzazione e crescere delle povertà, relativismo e imperversare dell’effimero.
È stato lui che, sollevando il tappeto e mostrando la polvere che c’era sotto, ha voluto intraprendere una dura lotta contro la pedofilia nella Chiesa, lottando energicamente soprattutto contro la pedofilia del clero, imponendo un’inversione di rotta nella coscienza, nelle norme e negli atteggiamenti della Chiesa nei confronti dei preti pedofili. Se non fosse stato per lui, che ha saputo gestire energicamente questa grave crisi nella Chiesa cattolica, si sarebbero avuti sicuramente danni ancora più estesi.
Poi, quell’11 febbraio 2013, accadde l’impensabile, arrivò il fulmine a ciel sereno: la rinuncia. La prima da sei secoli. È stato un atto rivoluzionario, un evento di portata storica: dalle ore 20:00 del 28 febbraio di quello stesso anno non sarebbe più stato Pontefice. Annunciò egli stesso, in latino, ai cardinali riuniti in Vaticano, la sua intenzione: «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio» – disse Ratzinger – «sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il Ministero a me affidato».
Indiscutibilmente è stata una decisione che ha provocato delusione e sconforto in tutti noi e, come Egli stesso ha ammesso: «Forse l’impatto è stato più forte di quanto avessi pensato, anche per il fatto che le persone avevano trovato un sostegno e una guida nel mio messaggio, e si sono sentite abbandonate… Ma poi la gente lo ha accettato».
Si ritirò nel Monastero Mater Ecclesiae, in Vaticano, a due passi da Papa Francesco, luogo che è divenuto un punto di riferimento per tutti coloro che erano alla ricerca di un consiglio, di una parola, una benedizione.
«Rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita; e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo». Questo è uno dei lasciti spirituali che il Papa Emerito Benedetto XVI affida ai fedeli nel suo testamento, che viene pubblicato nel libro “Nient’altro che la verità” scritto dall’Arcivescovo Georg Ganswein, suo segretario particolare, con Saverio Gaeta, per le edizioni Piemme e in uscita a gennaio.
(testo e foto: Vincenzo Palazzo Bloise)