Con la rubrica di oggi, a cura dell’Avv. Fabrizio Speranza, parleremo di licenziamenti individuali cercando così di rispondere anche ad alcune domande pervenute da alcuni lettori in merito alla disciplina di tale materia.
“Avvocato, possiamo fare chiarezza in merito ai contratti di lavoro, termini di preavviso e periodi di prova?”
Questi argomenti sono vari ed inevitabilmente connessi tra loro. Ogni situazione va sempre analizzata partendo dal contratto di lavoro e, in caso di licenziamento, le clausole relative al Periodo di Prova (Probationary Period) e al Periodo di Preavviso (Notice Period) risultano centrali per il quadro complessivo della vicenda.
Quando una delle due parti desidera cessare il rapporto, deve infatti darne sempre preventiva comunicazione alla controparte a prescindere dal motivo della decisione, e comunque rispettando il minimo periodo di preavviso previsto dal tipo di contratto specifico, con la sola eccezione del caso in cui si tratti di cessazione del rapporto giusta causa da parte del datore di lavoro o che tale decisione sia presa durante il periodo di prova.
Ma andiamo con ordine. Dobbiamo innanzitutto distinguere tra il caso in cui si sia di fronte ad un contatto a tempo determinato o indeterminato. Nel primo caso la cessazione è considerata un evento anomalo, qualcosa che non dovrebbe accadere data la sua natura temporanea, e che prevede quindi una penale importante, ovvero che la parte che prende tale decisone prima della scadenza del termine sia obbligata a versare alla controparte una somma pari al 50% del salario previsto per il tempo rimanente della prestazione lavorativa, sempre che non vi sia, parafrasando il diritto italiano, giusta causa o giustificato motivo.
Per quanto riguarda invece i contratti a tempo indeterminato, questi possono essere rescissi dal datore di lavoro solo tre causali specifiche: giusta causa (good and sufficient cause), esubero di personale (redundancy) o raggiungimento dell’età pensionabile. Limite, il primo dei tre, a cui il dipendente non è soggetto, non dovendo quest’ultimo fornire alcuna motivazione per la sua decisone.
In caso di cessazione per causa di esubero, ricevuta la notifica, il lavoratore potrà decidere a sua volta di continuare fino alla scadenza del termine oppure cessare immediatamente e chiedere una somma in compensazione. Se il datore di lavoro manca eventualmente di notificare il preavviso sarà tenuto a versare al dipendente una somma pari alla metà all’intero importo della retribuzione che sarebbe stata dovuta per il periodo di preavviso, con la comprensibile eccezione del caso di recesso per giusta causa.
Si precisa ancora che l’onere del preavviso pesa anche sul dipendente nel caso sia lui stesso parte attiva. Infatti, qualora quest’ultimo non notificasse il medesimo preavviso legale al datore di lavoro nei termini previsti, sarà soggetto a medesimo risarcimento. In questa occasione sarà però il datore di lavoro a decidere se consentire al lavoratore di continuare sino al termine previsto o chiedergli di cessare in via immediata la prestazione lavorativa pagando una somma pari al salario dovuto per il periodo.
Avvocato, ma ci sono delle garanzie? Ci si può difendere da un licenziamento illegittimo?
Sicuramente. Per prima cosa la risoluzione, a parte le dovute eccezioni, deve essere adeguatamente giustificata. La sua eventuale assenza è un elemento grave ed essenziale. In merito alla causale i casi più frequentemente discussi riguardano quelli per giusta causa o giustificato motivo. La legge fornisce infatti per tale fattispecie mere indicazioni in negativo, ovvero elencando una serie di elementi specifici non sufficienti ad integrarla, quali appartenere ad un sindacato, aver contratto o essere in gravidanza. Poi la giurisprudenza provvede ad adeguata ed ampia casistica di riferimento.
Nel caso invece in cui la causale del provvedimento sia legata alla necessità di licenziare per esubero, andranno rispettati obbligatoriamente alcuni criteri di natura selettiva. La scelta dovrà infatti cadere in prima istanza sui soggetti che hanno minore anzianità all’interno del gruppo di riferimento interessato. Se poi il posto precedentemente occupato dovesse ritornare nuovamente disponibile entro un anno, la persona interessata dal licenziamento avrà diritto ad essere riassunta nell’incarico ed alle medesime condizioni.
Va ricordato anche che esistono casi speciali in cui il licenziamento non è comunque consentito o in cui legittimità del provvedimento è condizionata ad ulteriori adempimenti di garanzia. Un esempio può essere il caso della lavoratrice incinta, dalla data in cui notifica formalmente tale suo status, durante il periodo della gravidanza fino alla fine del congedo di maternità.
Ci sono procedure particolari da rispettare? Cosa può fare il dipendente che ritiene il licenziamento illegittimo?
Non ci sono procedure particolari ma è prassi comune seguire i regolamenti interni dell’azienda che stabiliscono nel dettaglio come si devono gestire le questioni di natura disciplinare interna e quindi le regole che devono essere seguite per erogare sanzioni disciplinari, la più grave delle quali è ovviamente il licenziamento. Sanzione che, per esperienza, a parte casi eccezionali o particolarmente gravi, non è un fulmine a ciel sereno, ma quasi sempre il risultato finale di situazioni antecedenti che hanno dato adito a diversi provvedimenti disciplinari pregressi. È infatti consuetudine e buona prassi, anche per richiamata giurisprudenza, dare almeno tre richiami scritti prima di emettere tale ultimo e definitivo provvedimento.
Nei casi in cui il dipendente ritenga poi che il suo licenziamento sia illegittimo ha diritto di presentare ricorso dinanzi al Tribunale specializzato in tale materia, entro quattro mesi dalla data della notifica del provvedimento. Salvo eventuali e preventive transazioni, se il ricorso del dipendente dovesse venire accolto, la sua iniziativa potrà portare, a seconda dei casi, alla sua reintegrazione o al riconoscimento di un risarcimento, che terrà conto dei danni e delle perdite da questo subite.