Dopo due anni di emergenza Covid-19 si riparte con una stagione estiva all’insegna della musica dal vivo sull’arcipelago maltese, ma non ci potevamo certo aspettare l’arrivo di quella che è considerata la più influente rock band italiana di sempre: signore e signori i PFM.
Quando abbiamo saputo che la Premiata Forneria Marconi avrebbe suonato a Malta, non potevamo certo farci scappare l’occasione di incontrarli ed intervistarli. Grazie al contributo di Elena Moretti dell’agenzia stampa della band, per conto del Corriere di Malta, Carlo Campione ha incontrato Franz Di Cioccio, fondatore e storico batterista del gruppo.
Sono davvero contento di poterti intervistare, perché anche io sono cresciuto immerso nella musica grazie a mio padre, maestro di chitarra classica e solista in una rock band alla fine degli anni sessanta. Come per molti italiani, i PFM sono stati – e sono tutt’oggi – un’autentica leggenda.
«Sin da piccolo sono cresciuto circondato quotidianamente dalla musica; mio padre suonava il sax e l’oboe, fino a che un giorno si è ammalato. Dopo un concerto, si è sdraiato su un prato, aveva la pleurite e ha dovuto smettere, dedicandosi a tutt’altro lavoro, quello del sarto, mansione che è stata spesso tipica degli abruzzesi.
Immerso nel mondo della musica, iniziai a studiarla sin da bambino, con mio padre che mi metteva a fare “solfeggioni” infiniti. Come tutti sapranno, mi sono fatto subito ispirare dai Beatles e poi da tutti gli altri, che mi hanno dato la spinta per diventare un musicista a tutti gli effetti.
Ho cominciato a suonare la batteria perché mi piaceva, chiesi quindi a mio padre di regalarmela per una promozione, che però poi non ottenni, anche se la batteria ormai era stata comprata..».
Parlaci del tuo rapporto con Malta. Ci sei già stato, oppure per la band è una esperienza del tutto nuova?
«Sarà la prima volta per tutti e, appena lo abbiamo saputo, ne siamo stati subito entusiasti perché era sicuramente una occasione da non perdere.
Ci impegneremo al massimo per fare un bel concerto grazie alla musica, da sempre straordinario veicolo di coinvolgimento. Perché una cosa è conoscere ed apprezzare un artista, ben altra vederlo poi dal vivo sul palco.
Siamo quel genere di artisti che socializzano con chi li viene ad ascoltare, per lo meno io son cresciuto così. Ad ogni concerto a cui abbiamo assistito, praticamente tutti quelli che sono passati dall’Italia, oltre alle numerose trasferte all’estero, abbiamo conosciuto quasi tutti i musicisti che si sono esibiti.
È importante che la musica non sia solo quel momento in cui fai ascoltare le tue canzoni, ma è qualcosa di più intenso, uno scambio reciproco, e ci teniamo molto ad avere questo genere di rapporto con Malta».
Posso assicurarti che la platea locale è molto competente. Qui sull’isola, l’inglese, insieme al maltese, è la lingua più diffusa, dove persiste anche una ottima cultura musicale. Molti hanno però anche un debole per la musica italiana, tanto da meravigliare chi per la prima volta si esibisce su questi palchi. Esempio su tutti i Matia Bazar e Gianni Morandi, intervistati in precedenza.
«Mi fa piacere venire a conoscenza di queste informazioni, soprattutto perché ci esibiremo sia in italiano che in inglese. Spesso è importante far sentire il suono, che cambia a seconda della lingua utilizzata; il pubblico lo sente in quanto la trasposizione tra il corpo che si muove e la voce che canta fa capire che la canzone è quella, anche se le parole non vengono comprese del tutto.
Amo la musica in tutta la sua interezza, è bella in sé, grazie alla capacità di trasportare le persone divenendo veicolo fra chi la sta proponendo e chi la sta ascoltando.
Come saprete, in tanti anni di carriera, abbiamo calcato i palchi di tutto il mondo, per molto tempo anche quelli americani, in pratica ci manca solamente la Finlandia! Abbiamo vissuto molto all’estero e proprio questa attitudine ad adattarci ci ha permesso di non avere limiti o barriere, possiamo parlare qualsiasi lingua. Patrick è francese, ad esempio, io prima di tutto parlo abruzzese ovviamente (sorride, n.d.r.)».
I gusti cambiano con il tempo ed è davvero una sfida riuscire a piacere sia agli storici fan che alle nuove generazioni. Nella produzione dei nuovi pezzi, date uno sguardo a quello che piace alla gente, oppure cercate sempre una sorta di evoluzione, di crescita nella vostra musica, che è poi sostanzialmente quella di voi stessi come individui?
«Noi non siamo un genere, noi siamo la PFM, siamo tutto quello che ci piace essere e che poi proponiamo al nostro pubblico. Tutte le volte che facciamo un disco, non è solo per mettere in piedi qualcosa di nuovo, ma perché abbiamo qualcosa di nuovo da raccontare.
Io, per esempio, sono un patito dei film di fantascienza, divento pazzo per “Blade Runner” che mi ha davvero aperto uno squarcio dentro. Quando ho queste sensazioni, poi le voglio raccontare e condividere, quindi le metto in musica.
Ed è un modo di fare che abbiamo sempre avuto sin dall’inizio. Volevamo fare un disco particolare e lo abbiamo fatto. Non abbiamo mai voluto fare la canzone che deve piacere a tutti così va in radio. A noi non ce ne frega un cazzo, tanto quando vai sul palco fai capire chi sei, e lo sentiranno anche a Malta».
Siete stati fra i pochissimi ad entrare nella Billboard USA e a suonare negli Stati Uniti grazie a doti poliedriche che si sposano perfettamente con l’altissimo livello tecnico che da sempre vi contraddistinguono. Proprio questo mese, intervistato da Virgin Radio Italia, il famoso bassista dei Kiss Gene Simmons, interrogato su quale band italiana conoscesse, senza esitazione ha risposto PFM, sottolineando la vostra caratura tecnica.
«Si questa è una nostra caratteristica; quando siamo andati all’estero la gente ha scoperto che la musica italiana non è solo quella napoletana tradizionale per cui siamo conosciuti in tutto il mondo.
Noi PFM siamo molto meticolosi quando suoniamo, cerchiamo il particolare di quello che facciamo, non saliamo sul palco per far ascoltare le canzoni e poi ce ne andiamo.
Ad esempio, il giornale Prog UK, stilando la classifica delle 100 icone della musica rock, è uscito con un articolo su di me. Oppure le parole di elogio che mi ha dedicato Nigel Glockler, batterista dei Saxon. Sono cose che mi hanno lasciato esterrefatto. Fa piacere quando un giornale di questa caratura, oppure un grande artista all’estero ti menziona; significa che tu comunichi indipendentemente dalla lingua, ma anche dal genere di musica che fai».
Quello a Malta è il primo di una serie di concerti del tour “PFM 1972-2022” che coinvolgerà anche l’Italia, per poi spostarsi all’estero, in altri Paesi. Cosa proporrete nel vostro show che appare come un vero e proprio viaggio?
«Il concerto è pensato come diviso in tre quadri; partiremo infatti da quello che rappresenta l’“oggi” per arrivare da dove siam partiti, con le ultime cose che abbiamo fatto. L’esibizione inizierà quindi con il nostro ultimo disco, per spostarsi pian piano all’inizio della nostra storia, fino a far ascoltare al pubblico i “master” del nostro repertorio.
Sarà una rappresentazione che toccherà i pezzi strumentali più importanti, per poi passare a brani misti, sino a delle improvvisazioni fatte sul momento. Come si suol dire, “suoniamo al dente”, e ci divertiamo un sacco, pensando che lo faccia anche il nostro pubblico assieme a noi.
In quel momento stiamo infatti tutti godendo di qualcosa di particolare; non suoniamo la canzone per quella che è, ma per come la sentiamo. Per questo la performance può avere una durata diversa.
Ci sarà anche il nostro ultimo album “Ho sognato pecore elettriche”, una storia molto particolare, tra fantascienza e la realtà di oggi. Chi ha ascoltato il disco, sa di cosa parlo. Ci siamo basati sul fatto che le persone oggi sono tutte unite, come dei fili e, nel contempo anche dei dati viventi, di cui siamo ormai tutti completamente sommersi.
Sulla base di questo, è necessario riscoprire la propria personalità. L’uomo è uomo, non possiamo essere dei semplici dati; la società è ormai un mondo parallelo al nostro, mentre noi dobbiamo continuare a godere di quello che abbiamo, essere ciò che ci va di essere, vivendo la vita che ci piace, senza piegarci a ciò che il mondo ci chiede di diventare.
L’album ha avuto un bellissimo responso da parte di tutti. È piaciuto il fatto che noi non ci consideriamo dei dati, ma degli esseri umani, e ci batteremo per essere persone senzienti, che si divertono mentre si godono la vita. Viviamo in un mondo parallelo e stiamo perdendo tutto ciò che eravamo».
Ringraziamo Franz di Cioccio per l’intervista e per il tempo che ci ha dedicato, augurando alla band un grande in bocca al lupo per il debutto a Malta.