Lo scorso 7 aprile abbiamo pubblicato l’intervista ad Alex Agius Saliba, l’eurodeputato maltese che ha promosso il provvedimento del Parlamento europeo per un “diritto alla disconnessione” in tutti gli Stati dell’UE.
Ma cosa ne pensano diretti interessati, i lavoratori? Cosa si aspettano che potrà cambiare realmente quando i vari parlamenti nazionali accoglieranno questo principio con una propria legge?
Il Corriere di Malta ha incontrato il segretario del maggior sindacato maltese, la General Workers Union, Josef Bugeja.
Voi non vi siete limitati a sostenere l’iter di questo provvedimento ma avete collaborato alla stesura del testo.
Io personalmente ne ho parlato due anni fa al Parlamento europeo. Perché non è possibile che, mentre stai con la tua famiglia, il cellulare ti avvisa di una mail arrivata dall’ufficio o da un cliente della tua azienda. In questo modo, si sta in servizio 24 ore su 24. E la cosa comporta anche dei rischi per la salute.
Quindi, il problema lo avevate individuato e messo a fuoco ben prima che scoppiasse la pandemia. Ma forse oggi ha trovato un’attenzione maggiore, dato che il lavoro a distanza si è imposto per una quantità di persone che non si sarebbe immaginata un anno fa.
La pandemia ha solo accelerato il processo. Che però era in atto già da tempo e senza il virus si sarebbe diffuso solo un po’ più lentamente.
Lei dice che restare in contatto con l’azienda, senza mai staccare mentalmente, ha delle conseguenze sulla salute. Ma in questo modo anche la qualità subisce delle conseguenze. Un dipendente che sta male, non può rendere come uno in piena efficienza. Sarebbe interesse dell’azienda tutelarlo, no?
Infatti, alcuni imprenditori si preoccupano. Altri, però, pensano che si possa essere disponibili 24 ore al giorno. E il problema si è manifestato soprattutto con la globalizzazione. Io magari devo mandare una mail a Singapore quando lì sono le 8 del mattino, ma qui a Malta sono le 10 di sera.
Seguendo i fusi orari di tutto il pianeta, non si dovrebbe mai andare a dormire…
Gli imprenditori che si sono opposti a questa normativa dicono che ci si può sempre rifiutare di rispondere alle mail e alle telefonate. Ma allora perché le inviano, se sanno che l’orario è già terminato?
Certo, il dipendente può rifiutarsi di rispondere se ha un potere contrattuale che glielo consente. Ma se teme delle ritorsioni, il diritto a disconnettersi rimane sulla carta.
Infatti, noi avremmo voluto che ci fosse anche il divieto per l’azienda di contattare il lavoratore, oltre al diritto di quest’ultimo di spegnere computer e cellulare. Ma nel corso dell’iter abbiamo dovuto trovare dei compromessi. Però è passato il principio del quale ha già parlato Saliba che attribuisce al titolare dell’impresa l’onere della prova: se viene citato perché non ha rispettato il diritto alla disconnessione, sarà lui a dovere dimostrare di essere in regola.
In ogni caso, ogni Paese avrà delle leggi diverse, perché la raccomandazione del Parlamento europeo sarà poi interpretata da ciascuno con dei propri provvedimenti. Cosa succede quando i dipendenti e collaboratori risiedono in uno Stato diverso da quello dell’azienda?
Certo, ogni direttiva europea deve essere poi recepita con una legge del singolo Paese membro. Però ci saranno dei parametri da rispettare. Nel caso di una concorrenza di leggi, vale quella del Paese in cui ha sede l’azienda.
In Italia esiste già una legge sullo smart working, anche se con la pandemia si stanno applicando delle norme provvisorie. Ma il principio che ha introdotto è quello di una occupazione retribuita non tanto sulla base delle ore quanto sugli obiettivi raggiunti. Quindi, da casa o in ufficio, non si calcolano più le ore di presenza ma il lavoro effettivamente svolto. Allora come si fa a stabilire quando scatta il diritto alla disconnessione?
Lo smart working non è, in effetti, un impiego a distanza. Se per fare un lavoro si calcolano 40 ore ma poi il dipendente riesce a finire prima, per esempio in 35 ore, all’imprenditore non interessa. La prestazione è conclusa e il dipendente può fare quel che vuole nel tempo che gli rimane. È un nuovo modo di concepire i rapporti. Ma anche con lo smart working c’è un limite orario. Un dipendente può stare in servizio quando preferisce, ma nessuno lo può obbligare a prestare la sua opera fuori da uno schema stabilito con l’azienda.
Avete sostenuto Saliba e fatto pressione anche nell’ambito delle istituzioni europee, insieme agli altri sindacati. Come sono i rapporti tra di voi? Riuscite a fare spesso fronte comune con i sindacati di altri Paesi europei?
I rapporti sono buoni con tutti, e con quello italiano sono particolarmente intensi. Abbiamo anche creato uno sportello per gli italiani che lavorano a Malta, ai quali possiamo dare assistenza. E proprio durante questa pandemia ne abbiamo aiutato tanti che non conoscevano i loro diritti e i sostegni a chi restava senza reddito.
Per capire che impatto potrà avere in Italia una legge che stabilisce il diritto alla disconnessione, il Corriere di Malta ha interpellato anche l’eurodeputato italiano, Brando Benifei, alla sua seconda legislatura europea. Bonafei fa parte, tra l’altro, della “Commissione sull’intelligenza artificiale in un’era digitale”. Guida la delegazione del Pd al Parlamento europeo e segue da vicino le problematiche legate all’innovazione tecnologica.
L’Italia ha già delle norme sullo smart working, contenute all’interno del famoso jobs act. Non è già previsto che si debba rispettare il tempo di riposo di un dipendente?
Sulla carta sì, ma non è chiarito in maniera netta. Oggi esiste un rischio di mescolare il tempo del lavoro con il tempo della vita privata. Un’azione legislativa serve a evitare che le attuali normative vengano di fatto ignorate. La mera contrattazione, con gli attuali rapporti di forza non è stato sufficiente per garantirlo.
La pandemia ha sicuramente accelerato questo processo di digitalizzazione facendo impennare il numero di occupati a distanza. Ma cosa succederà dopo l’emergenza?
Erano già molti quelli che lavoravano a distanza. Ma soprattutto si tratta di dipendenti che non sono in grado di avere tutele contrattuali. L’azione legislativa deve andare avanti anche per contribuire a rafforzare le parti sociali, non per sostituirle. Per questo provvedimento, abbiamo dialogato molto con la Confederazione europea dei sindacati e su alcuni emendamenti c’è stata anche una discussione abbastanza accesa. Alla fine abbiamo dovuto raggiungere qualche compromesso, come un allungamento dei tempi per fare una verifica sugli accordi già esistenti prima di definire i provvedimenti legislativi.