Il boom del settore immobiliare maltese sembra non conoscere sosta. Nuove costruzioni sorgono ogni giorno, vecchie case monofamiliari vengono abbattute per fare posto a palazzine di tre appartamenti e sempre più terra “vergine” viene reclamata dall’edilizia.
Da un lato lo schema “cittadinanza contro investimenti” (ovvero l’ottenimento della cittadinanza maltese tramite l’investimento sulle isole di non meno di 650mila euro più acquisto di una proprietà dal valore di 350mila euro) incoraggia i paperoni russi, arabi e cinesi ad investire nel mattone, ed in particolare nel segmento extra lusso. Dall’altro l’economia in crescita in grado di attrarre società europee di gaming e betting on-line incoraggia il mercato degli affitti, con prezzi più che raddoppiati in pochi anni.
Questo sviluppo straordinario potrebbe anche non conoscere limiti. Una crescita economica costante, su un’isola così piccola, trasformerebbe Malta nei prossimi decenni, in una piccola Singapore, un’isola-città dominata da grattacieli di lusso e un sottobosco di condomini a basso prezzo. Questo parrebbe essere il sogno dei costruttori, da sempre la lobby più potente dell’arcipelago, ben addentellati sia con il Partito Laburista di Joseph Muscat, sia con la (debole) opposizione Nazionalista.
Eppure vari segnali negli ultimi mesi hanno iniziato a mostrare preoccupanti crepe nel boom del mercato immobiliare. Il più significativo di essi è l’improvviso e rapido provvedimento, da parte del governo laburista, dell’affitto di case a prezzi di mercato a scopo di social housing. L’idea era stata dapprima introdotta dal Partito Nazionalista nel 2012, ma bocciata in Parlamento anche grazie all’opposizione dei Laburisti. Cosa è successo nel frattempo da far cambiare idea al partito di Muscat?
Una cosa senz’altro: un incremento dei prezzi che sta iniziando a spingere le famiglie maltesi a basso reddito in una situazione di miseria. Non è solo l’apertura della seconda mensa dei poveri o la presenza di famiglie (maltesi) che dormono e vivono in macchina o sulle spiagge. Non è nemmeno il numero crescente di maltesi che si trasferiscono a Gozo, dove gli affitti sono più accessibili, per poi fare un’infernale vita da pendolari (e invogliando così la lobby del cemento a puntare sul ponte o tunnel tra le due isole). È la preoccupante ipotesi della “sostituzione”: maltesi poveri che emigrano a fronte di poveri non maltesi che arrivano.
L’ipotesi infatti è che le famiglie maltesi a basso reddito potrebbero a breve lasciare le isole per raggiungere le nutrite comunità maltesi all’estero, in Gran Bretagna, Canada e Australia, dando vita a un secondo processo migratorio, dopo quello che svuotò l’isola nel secondo dopoguerra. Nel frattempo il mercato del lavoro reclama nei prossimi anni almeno altre venti/trentamila unità, da importare dai paesi nordafricani o dell’est. Tutte “risorse” motivate da un salario minimo tra i più bassi dell’Unione, ma più alto di quello che possono sperare di ottenere nei loro paesi. Lavoratori ai quali affittare le case in costruzione che difficilmente troveranno altra collocazione.
Insomma, affittare case a prezzi di mercato per poi darle in affitto calmierato alle famiglie meno abbienti sembra una grande idea. E al contempo un modo per tranquillizzare i maltesi che si stanno indebitando con lo schema “buy to rent” (compra per affittare): non temete, se nessuno affitta ai prezzi di mercato ci pensa il Governo.