A sei settimane dall’inizio dell’emergenza, l’Unione Europea non ha alcuna strategia comune per lo choc economico che sta investendo gli Stati membri, scrive Dario Morgante.
La pandemia del coronavirus noto come Covid-19 ha costretto l’Italia per prima al lockdown, unico rimedio per impedirne la diffusione. Era l’11 marzo.
Il 13 marzo la Grecia dichiarava a sua volta il lockdown, il 14 la Spagna, il 17 la Francia. Il 24 marzo il Portogallo gettava la spugna dichiarando fallito il tentativo di contenimento del virus e proclamando lo stato di emergenza. Il 17 marzo il Belgio dichiarava un lockdown parziale e il 20 marzo chiudeva le frontiere. Il 21 marzo malta chiudeva l’aeroporto, isolando così il Paese dal resto del mondo. E così via: nessun Paese è stato risparmiato.
È passato ben oltre un mese da quando gli Stati europei hanno reagito individualmente all’epidemia, poi promossa pandemia dall’OMS l’11 marzo.
Ad oggi, a sei settimane dall’inizio dell’emergenza, l’Unione Europea non ha alcuna strategia comune. Men che meno ne ha una per lo choc economico che sta investendo gli Stati membri.
Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone e Russia hanno immediatamente annunciato l’immissione di enormi quantità di liquidità per salvare le proprie economie.
Il 23 marzo il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per stanziare 50 milioni di euro per una centrale comune di acquisto di materiale sanitario. Da quel giorno non si ha avuto alcuna notizia nemmeno della dotazione essenziale di mascherine chirurgiche.
Si dice che la pandemia ha avuto il potere di esacerbare le tensioni e le difficoltà che le persone avevano nella loro vita quotidiana. Chi era in bolletta e faticava ad arrivare alla fine del mese, non ci arriva più. Le coppie che vivevano la loro relazione in precario equilibrio, sono scoppiate.
Pensavamo – perché ce lo facevano credere – che l’Unione Europea fosse una comunità, era invece solo un precario equilibrio di Stati che non arrivava alla fine del mese.