Otto mesi fa moriva Daphne Caruana Galizia, fatta saltare in aria assieme alla propria macchina. Sei mesi fa tre delinquenti di mezza tacca vengono accusati di un fallito attentato dinamitardo a Fgura. Che siate importanti o meno non importa, sull’arcipelago sembra che ci sia sempre un’autobomba per voi
Sei mesi dopo gli arresti effettuati dalla polizia in connessione con il fallito attentato dinamitardo di Fgura, la corte si è riunita per la richiesta di rilascio su cauzione presentata dalla difesa. E l’ha rigettata, nonostante i tre imputati abbiano già trascorso questo lungo periodo di tempo in detenzione preventiva.
Non si tratta certo di urlare al garantismo, il reato è assai grave e i tre imputati, sia pure innocenti fino a prova contraria, hanno una lunga lista di precedenti penali e – insomma – il rischio di fuga è senza dubbio elevato.
La fallita autobomba di Fgura è un «fatto minore» per un arcipelago che ha visto saltare per aria un bel po’ di gente negli ultimi anni, compresa la giornalista investigativa Daphne Caruana Galizia. Ma, come dice il saggio, il «diavolo si nasconde nei particolari» e i particolari in questo caso sono quelli dei nostri tre imputati.
Lorenzo Callus, noto come “Ħeswes”; Paul Farrugia, noto come “Kwattru” e Jonathan Farrugia, noto come “Ġanni ta’ Nina”, sono accusati del tentato omicidio di Mario Scicluna e della sua compagna Elaine Galdes tramite una bomba che era collocata sotto la macchina di Scicluna a gennaio di quest’anno.
Ed ecco i particolari, Callus è inoltre imputato per porto d’armi abusivo e possesso di eroina e cannabis per uso personale, mentre Jonathan Farrugia è imputato anche per possesso di cannabis non per uso personale e infine Paul Farrugia è imputato per possesso di sigarette di contrabbando.
Forse per un criminale ogni reato è bello a mamma sua, come con gli scarrafoni, ma a ben vedere questi tre imputati sono quelli che un tempo si sarebbero definiti «di mezza tacca». Cannabis, eroina e sigarette di contrabbando.
Il processo è aperto e non sappiamo come finirà. Appare chiaro però, al di là delle responsabilità penali dei soggetti in questione, che sull’arcipelago maltese si regolano molte questioni, maggiori o minori che siano, a suon di «botti». Un’usanza che media e politici locali sembravano prendere sottogamba fino al 16 ottobre scorso, otto mesi esatti oggi, quando la vittima — Daphne Caruana Galizia — ha messo in moto un meccanismo fatto di riflettori e indignazione che, speriamo, porterà lontano.
E che giustizia sia fatta. Per tutti.