Sono 1700 i lavoratori italiani a Malta “transfrontalieri” e per loro pochissime tutele in questa emergenza da Covid-19. Anche per loro si attivano i sindacati.
Lui li chiama “pendolari internazionali”. E sono i 105 mila italiani che lavorano all’estero e tornano in giornata o, al massimo, ogni settimana. La maggior parte di loro, il 70%, lavora in Svizzera, e circa 1.700 Malta (ma è una stima) dove poi ci sono ben 8mila lavoratori residenti. Per Giuseppe Augurusa, responsabile nazionale frontalieri della Cgil, il problema del coronavirus colpirà questi lavoratori più degli altri. E per questo sta lavorando da settimane per ottenere delle tutele sia dal Governo maltese che dalle autorità italiane.
“La situazione degli italiani a Malta abbiamo iniziato a seguirla già da un po’ di tempo” dice al Corriere di Malta “e proprio lo scorso novembre abbiamo inaugurato il nostro primo sportello sull’isola dedicato a loro grazie a un “accordo di doppia affiliazione” che abbiamo siglato con il maggior sindacato maltese, il Gwu, General workers union. L’epidemia che è scoppiata appena un paio di mesi dopo sta mostrando proprio le fragilità che noi già avevamo segnalato: da un anno chiediamo di applicare uno dei principi della libera circolazione all’interno dell’Unione europea che in questo momento viene disatteso perché le aziende maltesi hanno una tassazione penalizzante se assumono stranieri”.
Le conseguenze della crisi da Coronavirus sono ancora più discriminanti. Augurusa spiega che il Governo maltese ha preso dei provvedimenti d’emergenza, come il minimum wage, una sorta di cassa integrazione per i dipendenti di aziende messe in crisi dall’epidemia. Ma questa misura non è valida per i lavoratori italiani che hanno perso il posto di lavoro.
Altra situazione ancora è quella che riguarda i lavoratori messi in quarantena obbligatoria che, a differenza dell’Italia dove questa condizione è stata equiparata alla malattia, a Malta viene considerato un periodo di assenza obbligatoria e non retribuito.
“In attesa di ottenere qualcosa dalle autorità maltesi” dice ancora Augurusa “insieme agli altri due sindacati della triplice, abbiamo avanzato una richiesta al nostro Governo: inserire i frontalieri italiani nel suo programma di interventi per chi perde il lavoro a seguito di questa epidemia. Si tratterebbe di riconoscere loro la naspi (indennità di disoccupazione ndr.) in attesa che le attività riprendano. Questa richiesta è stata adesso inserita nell’ordine del giorno del Senato che impegna il Governo in un prossimo decreto di aprile. La copertura dovrebbe arrivare dal ministero degli Esteri”.
La Cgil ha valutato che, se si fermerà il 30% di lavoro frontaliero, questo sostegno ai lavoratori attualmente occupati nei nove Paesi confinanti, costerebbe allo Stato italiano tra i 120 e i 150 milioni di euro.
Ma perché l’Italia dovrebbe sostenere dei lavoratori che sono andati a lavorare all’estero e che, quindi, hanno pagato le loro tasse ad altri Paesi?
“La situazione non è uguale per tutti” risponde Augurusa “perché ci sono anche lavoratori che pagano le tasse in entrambi i Paesi. Per prima cosa, bisogna comprendere la differenza tra frontalieri e transfrontalieri: entrambi lavorano all’estero ma per i primi il datore di lavoro è locale mentre gli altri, giuridicamente definiti ‘distaccati europei’, lavorano per un’azienda italiana. È naturale che seguano regole diverse”.
“Ma c’è un’altra ragione per la quale conviene sostenere i nostri connazionali all’estero” aggiunge “ed è che sono tutti potenziali disoccupati di ritorno. A Malta arrivano quasi tutti da Sicilia, Calabria, Campania. Regioni che non offrono grandi opportunità di lavoro. Non aiutarli mentre attraversano un periodo di crisi all’estero, dove comunque sono andati perché c’era e ci aspettiamo che riprenda un florido mercato occupazionale, significherebbe ritrovarseli disoccupati nelle loro regioni di provenienza”.