Quando il «dumping fiscale» incontra gli istituti di credito ecco che si parla di «ghost bank». E Malta guida la classifica europea.
Le hanno definite “ghost bank”, perché macinano utili di tutto rispetto in alcune sedi dove lavorano pochissimi o nessun dipendente. E, ancora una volta, il fenomeno riguarda principalmente le isole Cayman; ma limitandoci all’Europa, si parla di Malta, Lussemburgo e Irlanda. Che sono, poi, le giurisdizioni accusate più spesso di fare una sorta di dumping fiscale nei confronti degli altri partner comunitari. Mentre tra le banche in questione non mancano le italiane.
Ad accendere i riflettori su questo fenomeno è un rapporto di Transparency International Ue, un’organizzazione mondiale nata per combattere la corruzione a tutti i livelli attraverso indagini e analisi dei flussi economici e finanziari.
Nel rapporto si specifica a chiare lettere che quanto riportato deve essere considerato un motivo di attenzione ma non costituisce affatto un illecito né, tanto meno, un reato.
In cosa consiste, allora, il fenomeno denunciato da Transparency International?
Semplicemente nell’aprire delle sussidiarie in località dove la tassazione è particolarmente favorevole e di avere realizzato dei profitti nonostante un organico inesistente o insignificante, in rapporto alla mole di capitali movimentati. Il dubbio, quindi (tutto da verificare!) è che alcuni profitti realizzati nel proprio Paese possano essere stati dirottati verso Paesi nei quali il prelievo fiscale è molto più leggero o, in alcuni casi, addirittura inesistente.
Si tratta di informazioni che le banche europee devono fornire grazie a una normativa europea entrata in vigore nel 2015 e che impone loro di specificare le principali voci di bilancio, come profitti e tasse pagate, per ogni singolo Paese in cui operano.
Il rapporto in questione esamina le informazioni su 39 tra le maggiori banche europee. E 29 di queste rientrano nelle caratteristiche definite “ghost bank”: alti profitti in Paesi dove non hanno alcun dipendente.
L’italiana Unicredit ha il primato della più significativa presenza fantasma nei vari Paesi con tassazione agevolata: con 37 diverse attività economiche e senza alcun impiegato, ha realizzato profitti per oltre 1,6 miliardi. E per gli autori del rapporto si tratta “senza alcun dubbio di un dirottamento dei profitti”.
Negli Emirati Arabi, Intesa San Paolo ha ottenuto un trattamento fiscale di massimo riguardo: sui 404 milioni di euro realizzati come profitto nel corso degli anni, ha pagato solo 3,3 milioni. Pari allo 0,8%. Molto meno anche del Monte Paschi, che risulta aver pagato l’1,61% dei profitti realizzati nelle cosiddette giurisdizioni fiscalmente favorevoli.
Malta è il Paese in cui è stato registrato il maggior numero di operazioni di questo tipo che hanno prodotto i profitti più consistenti tra il 2015 e il 2019: 590 milioni di euro.
“Una cifra paragonabile a quella realizzata in Slovenia” si legge nel rapporto “dove, però, gli uffici delle succursali ospitano ben 9.831 impiegati”.
A spiegare questo primato, è sufficiente il dato ricavato dagli analisti di Transparency International: le tasse pagate al fisco maltese su questi profitti hanno un’aliquota di appena il 9%. Che significa quattro volte meno dell’aliquota fiscale ufficiale, 35%, che già viene considerata dagli altri partner europei una sorta di concorrenza sleale.