Il 16 Gennaio passerà alla storia come una data cruciale per la Giustizia italiana che, dopo 30 anni di latitanza, è riuscita ad arrestare il boss Matteo Messina Denaro, uno dei malavitosi più sanguinari e affermati di Cosa Nostra.
Accompagnati dalla gioia della folla presente, l’arresto del capo del mandamento di Castelvetrano è stato eseguito dai carabinieri del Ros, coordinati dai procuratori Maurizio De Lucia e Paolo Guido che, dopo gli svariati anni di inseguimenti, sono riusciti a stanare “U siccu” mentre era in cura alla clinica privata de “La Maddalena” di Palermo.
Un inseguimento durato oltre trent’anni e che, nella giornata di ieri, ha portato all’arresto di uno degli uomini più pericolosi dello Stivale, tra i mandanti degli attentati orditi contro i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Chi è Matteo Messina Denaro
Nato a Castelvetrano (Trapani) il 26 Aprile 1962 e figlio del vecchio capomafia locale Francesco “Ciccio” Messina Denaro, storico alleato della cosca dei corleonesi guidati da Totò Riina, nel 1989 Denaro fu accusato di associazione mafiosa per il suo coinvolgimento nella sanguinosa faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna. Nel 1991 si rende colpevole dell’omicidio dell’imprenditore alberghiero Nicola Consales, in quanto si sarebbe lamentato di avere «quei mafiosetti sempre tra i piedi».
Negli anni novanta quello che fu definito un giovane rampante della malavita iniziò ad estendere i propri interessi sul territorio nazionale, entrando a far parte di un gruppo composto dai mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani, inviati a Roma per compiere appostamenti intimidatori nei confronti del presentatore Maurizio Costanzo e con l’obiettivo di eliminare Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli.
Nel 1992 il boss di Castelvetrano fu tra gli esecutori materiali dell’omicidio del capo della cosca di Alcamo insubordinato di Riina, Vincenzo Milazzo, strangolando barbaramente anche la compagna, Antonella Bonomo, incinta di tre mesi.
Con quattro condanne per 416bis, Denaro è stato condannato per le stragi di Capaci e di Via D’Amelio che costarono la vita ai magistrati Falcone e Borsellino, e per la guerra malavitosa in scena tra il 1992 e il 1993 tra l’organizzazione criminale siciliana Cosa Nostra e lo Stato italiano.
Tra i delitti più atroci commessi dal capomafia trapanese ci fu quello del dodicenne Giuseppe Di Matteo, sequestrato nel novembre 1993 nel tentativo di convincere il padre, Santino Di Matteo, ex affiliato alla famiglia di Altofonte, a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci. Dopo circa 779 giorni di prigionia, però, il piccolo Giuseppe fu brutalmente strangolato ed i resti sciolti nell’acido.
La latitanza del boss e l’arresto
Il “giovane” Denaro trovò così modo di affermarsi all’interno degli ambienti malavitosi, tantoché nel 1993 decise di iniziare la latitanza poiché in quel periodo “arrestavano pure le sedie”, come si evince dalle lettere indirizzate a Bernardo Provenzano e ritrovate dalle Forze dell’ordine nel covo di Montagna dei Cavalli.
Nei grandi avvenimenti il simbolismo richiede la sua parte e, in questa occasione, ricorda a gran voce come l’arresto del boss sia avvenuto esattamente a 30 anni e un giorno da quello di Totò Riina, con l’inchiesta coordinata dai procuratori Maurizio De Lucia e da Paolo Guido che ha sorpreso Messina Denaro nella clinica privata palermitana, ricoverato per ricevere le cure chemioterapeutiche sotto il falso nome di Andrea Bonafede.
Secondo quanto si apprende da Repubblica, l’ex boss di Castelvetrano avrebbe invano tentato la fuga con i carabinieri che l’hanno finalmente posto in manette alle 9:35 per scortarlo alla legione Carabinieri Sicilia, la stessa dove fu condotto proprio Totò ‘u Curtu.
I dubbi sull’arresto e quell’intervista di Baiardo
Alla grande risonanza della notizia dell’arresto di Matteo Messina Denaro, una parte del web ha risposto alimentando diversi dubbi su un’eventuale trattativa con lo Stato.
Tra chi fa presente come il latitante venisse regolarmente avvistato tra Trapani e Palermo (confermata la sua presenza nel 2010 allo stadio Renzo Barbera durante Palermo-Sampdoria) mentre le Forze dell’ordine lo ricercavano in America Latina, e chi ricorda l’intervista di Massimo Giletti a Salvatore Baiardo, il prestanome che coprì la latitanza dei fratelli Graviano, che con queste parole aveva annunciato l’arresto del boss già lo scorso novembre:
«Con il nuovo governo chi lo sa non arrivi un regalino. Presumiamo che Matteo Messina Denaro sia molto malato e che faccia una trattativa per consegnarsi e permettere un arresto clamoroso in cambio del rilascio di qualcuno all’ergastolo ostativo senza che vi sia clamore. La trattativa Stato-Mafia è ancora in corso? Si».
Nonostante i dubbi che circolano nelle ultime ore, l’operazione che ha condotto all’arresto del boss trapanese rappresenta un duro colpo inferto alla criminalità organizzata.