Una storia forse sconosciuta, molto probabilmente dimenticata. La storia di un uomo con la schiena dritta, di quelle che ti fanno sentire orgoglioso di essere italiano. È la storia di Dino Gassani (nella foto), un avvocato che amava la sua professione e che non si sarebbe mai piegato a scelte di convenienza o a ritirate strategiche figlie di una deprecabile vigliaccheria.
Il 27 marzo del 1981, esattamente quarant’anni fa, i killer della Nuova Camorra Organizzata uccidevano Gassani nel suo studio di Salerno; insieme a lui veniva trucidato anche il suo segretario Pino Grimaldi (entrambi saranno insigniti della medaglia d’oro al valor civile).
Quel duplice omicidio fu un trauma terribile, preceduto e seguito da una scia di sangue i cui effetti non sono ancora svaniti, neppure dopo quattro decenni. Gassani, che aveva 51 anni, fu giustiziato perché possedeva una qualità non particolarmente diffusa e che in quel periodo – tra criminalità organizzata e terrorismo, gli anni ’80 furono angoscianti – era merce rara: il coraggio.
Un coraggio intellettuale, soprattutto, da uomo che non rinuncia ad essere libero pur essendo consapevole che la libertà è un lusso che si paga a un prezzo esorbitante. Era cosciente del fatto che in qualche modo prima o poi gli avrebbero presentato il conto, ma l’idea di arretrare anche di un solo passo non lo aveva mai sfiorato. Eppure sapeva che il nemico era potente, violento, spietato.
Come stabiliranno i processi, Dino Gassani pagò, la colpa – chiamiamola così – di aver convinto un suo cliente a collaborare con gli inquirenti e a fare i nomi dei personaggi coinvolti in alcuni sequestri di persona. Tra questi c’era Raffaele Catapano, killer della Nuova Camorra Organizzata guidata dal boss Raffaele Cutolo.
Era il 1978. Gassani fu più volte minacciato pesantemente per costringerlo a bloccare le confessioni del suo cliente e a fargli ritrattare tutto ciò che aveva dichiarato ai magistrati. L’avvocato si fece scivolare addosso tutte le intimidazioni e il suo cliente contribuì ad incastrare la feroce banda di sequestratori.
All’epoca i camorristi si sentivano invincibili e non ebbero alcuno scrupolo a condannare a morte Dino Gassani. Il 27 marzo del 1981 entrarono nel suo studio di Salerno e dopo una breve e animata discussione lo uccisero, poi completarono la loro missione di morte assassinando il segretario Pino Grimaldi.
Quando i poliziotti arrivarono sul luogo del delitto, si accorsero che sulla scrivania il penalista aveva lasciato un biglietto sul quale c’era scritto: «Non posso perdere ogni dignità». Killer e mandanti saranno arrestati e condannati a pene pesanti, quindi giustizia è fatta.
Gassani avrebbe potuto scegliere la morbida soluzione del compromesso, o percorrere la comoda strada del silenzio. Invece no, scelse la terza via: quella della dignità. Quel 27 marzo gli assassini spararono su uomo libero uccidendone solo il corpo.
L’eredità morale che ci ha lasciato Gassani, quella no, non potranno mai ucciderla.