Se fosse ancora vivo, potrebbe constatare che molte cose sono fortunatamente cambiate.
Ma potrebbe anche constatare che non tutto è cambiato in meglio e che, dopo 43 anni, la battaglia che gli stava più a cuore non è stata ancora vinta.
Peppino Impastato è morto fisicamente il 9 maggio del 1978.
Non tutti lo ricordano perché la sua tragica fine fu sovrastata da un altro lutto terribile: nello stesso giorno, infatti, le Brigate Rosse assassinarono lo statista democristiano Aldo Moro, il cui corpo fu trovato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa parcheggiata nel centro storico di Roma.
Il corpo di Peppino, invece, non è mai stato trovato. O perlomeno non è stato trovato intero. Sono stati recuperati solo dei brandelli qua e là, nel raggio di quasi 300 metri, lungo la ferrovia di Cinisi, un paesino della provincia di Palermo.
Peppino morì fisicamente il 9 maggio dilaniato da una bomba: si disse che fu fatto a pezzi dall’ordigno che lui stesso stava collocando sui binari per un attentato non si sa bene contro chi.
E quando nell’aria c’era ancora l’odore acre dell’esplosivo, Peppino cominciò a morire di nuovo: dopo averlo annientato fisicamente, cominciarono a ucciderne la memoria, a massacrare la sua credibilità, a distruggerne il solitario e coraggioso impegno civile. I carabinieri dissero che quel ragazzo di 30 anni era uno scapestrato, un rivoluzionario di periferia, un anarchico, un mezzo terrorista, un comunista.
La ricerca della verità fu strangolata da un’arrogante operazione di depistaggio e da un grossolano tentativo di seppellire nella stessa fossa sia il morto (o quel che ne era rimasto) che il desiderio di giustizia.
Peppino Impastato non era né un rivoluzionario né una testa calda. Era solo un ragazzo pieno di speranze che si era messo in testa di liberare la sua Cinisi dalla presenza della mafia. Un obiettivo complicatissimo per almeno due ragioni: il boss del paese era il potentissimo Tano Badalamenti; gli Impastato erano imparentati con un altro big di Cosa Nostra, Cesare Manzella, assassinato nel 1963.
Peppino era di un altro stampo, non aveva avuto paura neppure di mettersi contro la famiglia che non solo non voleva che si schierasse contro don Tano, ma non aveva gradito nemmeno la scelta di candidarsi alle elezioni amministrative nella lista di Democrazia proletaria.
Peppino conduceva il programma “Onda pazza” su una cosiddetta “radio libera” che si chiamava Radio Aut: denunciava le speculazioni edilizie, gli imbrogli sugli appalti, i legami tra mafia e politica, il traffico di droga. E soprattutto prendeva in giro Badalamenti: lo chiamava “Tano Seduto”.
Uno così, in un contesto impregnato di omertà, non poteva durare. E infatti Badalamenti lo fece ammazzare: Impastato fu sequestrato, portato sui binari della ferrovia e fatto saltare in aria con una bomba affinché non ne rimanesse niente.
Quel 9 maggio del 1978 apparve chiaro a tutti che Peppino avesse pagato con la vita il suo impegno contro i mafiosi; chiaro a tutti, tranne ai carabinieri che occultarono le prove infilandole nel tombino delle verità scomode.
Per decenni Peppino Impastato è stato considerato vittima della bomba che lui stesso aveva preparato.
La tenacia del fratello Giovanni, della madre Felicia e del Centro siciliano di documentazione ha impedito che delle ignobili bugie passassero alla Storia.
Ma solo alla metà degli anni ’90 un pentito ha raccontato quel che era successo davvero, e cioè che Peppino Impastato era stato ammazzato su ordine di Tano Badalamenti. Il boss di Cinisi fu condannato all’ergastolo nel 2002: soltanto 24 anni dopo, dunque, fu fatta giustizia. Peppino Impastato non era uno scapestrato, era solo un giovane che immaginava una società senza ruberie, senza speculazioni, senza imbrogli, senza mafia.
Molto è cambiato da allora, inevitabilmente. Ma molto ancora no. Peppino non c’è più da 43 anni. Le ruberie, le speculazioni, gli imbrogli e la mafia, invece, si che ci sono ancora.