In queste ore i soccorritori non conoscono tregua ed il bilancio continua impietosamente a salire sfiorando quota 40.000 vittime che hanno perso la vita nel terremoto che, nella notte tra 5 e 6 febbraio, ha colpito e stravolto le vite di migliaia di persone in Turchia e Siria.
Mentre nei momenti più bui si fanno spazio sprazzi di speranza dalle storie, seppur poche, come quelle della bambina di 7 mesi che a Jandiris è stata salvata dalle macerie grazie al sacrificio della sorella maggiore che l’avrebbe protetta tra le sue braccia, lo sconforto si fa sempre più vivido mentre si cerca di capire se si sarebbe potuto far di più per prevenire gli effetti della catastrofe.
A rispondere a questa domanda ci ha pensato il presidente turco Tayyip Erdogan che, se da un lato sembrerebbe puntare il dito in direzione del “fato” in quanto «queste calamità sono sempre accadute e fanno parte del piano del destino», dall’altro, avrebbe iniziato a cercare freneticamente i responsabili delle migliaia di edifici rasi al suolo insieme alle vittime.
L’agenzia stampa Anadolu riferisce come la Turchia avrebbe arrestato nelle ultime ore più di 100 costruttori edili nelle province devastate dal terribile sisma della scorsa settimana, anche se, a seguito del commento del vicepresidente Fuat Oktay, sembrerebbero essere 131 i sospettati e 113 gli ordini di detenzione.
Infatti, la normativa dello Stato della mezza luna era già stata aggiornata nei primi anni del nuovo millennio alla luce dei disastrosi effetti del terremoto del 1999 ma, secondo molti esperti e come riportato anche dalla BBC, in passato le politiche governative turche avrebbero consentito “amnistie” per i costruttori colpevoli di aver contravvenuto alle norme edilizie, anche in zone considerate a rischio sismico, in modo da favorire il mercato.
Gli arresti sarebbero frutto delle indagini delle unità investigative istituite dalle oltre 150 procure locali su ordine del ministero della Giustizia turco, finalizzate ad investigare su «crimini legati al terremoto».
In questo momento è difficile delineare i parametri con cui la Turchia abbia cercato le responsabilità nella tragedia del terremoto negli imprenditori edili arrestati proprio per l’esecuzione repentina dei fermi, che sembrerebbe quasi una reazione “impulsiva” alle crescenti proteste che hanno interessato alcune zone della Turchia.
Una lettura che pare rispecchiarsi anche nel blocco momentaneo degli accessi a Twitter, ove centinaia di cittadini si erano riversati per denunciare i ritardi dei soccorsi e le politiche edilizie passate imposte dal Governo di Ankara, motivandolo ufficialmente come un tentativo di fermare «una campagna diffamatoria e di menzogne».
L’emergenza di individuare i responsabili non è l’unica che colpisce in queste ore Ankara, sempre più afflitta dal fenomeno degli sciacalli.
Nelle ultime ore sarebbero infatti almeno 98 le persone arrestate per essere state colte mentre saccheggiavano gli edifici colpiti dal terremoto, con diverse accuse per rapina e frode.
Secondo le fonti della sicurezza ci sarebbero inoltre alcuni individui dichiarati in arresto per essersi spacciati operatori umanitari mentre cercavano di derubare sei camion carichi di provviste e offerte destinate ai sopravvissuti – «D’ora in poi le persone coinvolte nei saccheggi non sfuggiranno alla mano ferma dello Stato» – avrebbe promesso il presidente Erdogan.
Concordi del fatto che sia giusto investigare e assicurare alla giustizia eventuali colpevoli che hanno concorso nell’impressionante conta delle vittime, l’augurio rimane quello che questa non possa essere un’ulteriore, quanto disperata, mossa politica in vista delle elezioni previste per il prossimo 18 giugno.