Giornata nera, quella di lunedì, per gli utenti dei più diffusi social network targati Zuckerberg. Il prolungato blocco mondiale delle app social più diffuse, durato per ben sette ore, ha mandato in tilt milioni di utenti che compulsivamente cercavano di accedere ai loro account.
Ma in realtà cos’è successo? È la domanda che si sono posti un po’ tutti, cercando di capire le cause del momentaneo blocco anche della messaggistica di Whatsapp.
Il blackout, come oramai è noto, è stato provocato da modifiche alla configurazione dei router che gestiscono il traffico di rete tra i vari centri dati.
«Questa interruzione del traffico di rete ha avuto un effetto a cascata sul modo in cui comunicano i nostri centri dati bloccando i nostri servizi» ha riassunto il vicepresidente delle infrastrutture di Facebook, Santosh Janardhan, in un post condiviso sui canali ufficiali dell’azienda.
La soluzione dei problemi sembra essere stata particolarmente complessa. I media americani hanno evidenziato che Facebook ha dovuto organizzare una vera e propria “spedizione”, inviando un team di tecnici e specialisti nei data center di Santa Clara, in California, per intervenire direttamente sui server, vista la scarsa utilità delle operazioni da remoto.
Ma, nel frattempo, i “followers” di tutto il mondo che reazioni hanno avuto davanti all’impossibilità di effettuare gli ormai consueti “Swipe up”?
C’è chi l’ha vissuta come un dramma, non riuscendo a postare i contenuti sul proprio profilo e chi invece è riuscito finalmente a godersi una cena in famiglia o con amici senza l’interruzione di notifiche e messaggi vocali.
Come è ormai noto, infatti, la platea di persone che dipende dai social network, sia per lavoro che per svago, è molto ampia: sono milioni le persone “ipnotizzate” dai vari contenuti che scorrono senza sosta sulle bacheche dei social network, rincorrendo notizie, scatti di tendenza o piatti fotografati prima di ogni pasto dai vari “Instagrammer”.
Il blackout social di lunedì non ha solo creato disagi, ma ha anche permesso di regalare a tutti dei momenti di “disconnessione”, rivelando un’amara realtà, quella che mina – spesso inconsapevolmente – la libertà di ogni persona e che rappresenta il rovescio della medaglia, celato da una quotidiana routine nell’utilizzo dei social media.
La predominanza dell’utilizzo di queste applicazioni nella vita quotidiana di ciascun individuo, infatti, è così forte che gran parte delle azioni svolte si interseca inevitabilmente con “l’alter-ego” digitale, creando un enorme distacco dai contatti che appartengono alla vita reale, quelli in carne ed ossa.
Si crea, quindi, una catena invisibile che inconsapevolmente lega ognuno di noi ad un obbligo implicito che impone di essere attivamente presenti sulle piattaforme online.
Gli effetti collaterali da social network non sono una novità; sono diverse infatti le accuse rivolte al colosso californiano. Tra le più recenti – e anche più rilevanti – ci sono quelle mosse da Frances Haugen, ex product manager di Facebook, che ha deciso di rivelare pubblicamente il contenuto di migliaia di documenti interni all’azienda.
Le rivelazioni shock parrebbero mostrare come il gigante dei social network abbia messo in secondo piano il benessere dei suoi utenti a favore del profitto, colpevole di non contrastare adeguatamente la diffusione di contenuti carichi di odio e divisivi, che generano reazioni emotive nelle persone, fattore determinante per rimanere sempre connessi.
I documenti evidenziano inoltre l’impatto negativo che i servizi come Instagram hanno sui giovani utenti, nonché le conseguenze pericolose per la salute mentale degli adolescenti.