Chi vive a Malta da qualche anno si ricorderà di Johanna Boni, la ventisettenne italo-maltese tragicamente morta una mattina di gennaio del 2016 in un incidente in moto.
E il dolore dei genitori, Salvatore e Josephine Boni, già inconsolabile, si è addirittura acuito quando, a fine gennaio di quest’anno, la tomba di famiglia è stata riaperta per la sepoltura del nonno di Johanna.
«L’immagine che si è presentata ai nostri occhi – scrive la signora Josephine alla redazione – è stata qualcosa che non ci saremmo mai aspettati di vedere: nostra figlia non indossava l’abito che le avevo scelto per la sepoltura, ma era avvolta nel sacco di plastica che si usa per i cadaveri. Ho sempre avuto il sospetto che qualcosa non andava sulla sepoltura di mia figlia, da sempre, ma non potevo mai immaginare che me l’avrebbero lasciata in una busta di plastica e che i vestiti, che ho dato a chi di dovere, fossero accartocciati nell’angolo della bara».
Proprio qualche giorno fa, la famiglia Boni ha presentato una lettera giudiziaria contro il becchino e le autorità ospedaliere, insistendo che il diritto a una dignitosa sepoltura è sancito dalla legge maltese secondo la quale “ogni corpo morto deve essere sepolto dignitosamente”, un diritto che alla propria figlia è stato palesemente negato.
I genitori di Johanna hanno inoltre intenzione di intraprendere ulteriori azioni legali per salvaguardare non solo i diritti della loro figlia ma anche i diritti di terzi che potrebbero subire un’esperienza simile.