Ha preso il via mercoledì la fase di raccolta prove per delineare il ruolo che hanno ricoperto l’architetto Adriana Zammit, i costruttori e promotori immobiliari Matthew Schembri e Kurt Buhagiar, Milomir Jovicevic e la moglie Dijana Jovicevic, proprietari della Milmar Ltd, l’azienda edile appaltatrice del cantiere di Kordin dove lo scorso dicembre ha perso la vita il ventenne Jean Paul Sofia.
I cinque indagati, arrestati dopo quanto emerso nelle conclusioni dell’inchiesta magistrale che hanno portato a galla gravissime lacune nella progettazione, costruzione e rispetto delle norme sulla sicurezza in cantiere, nonché presunta falsificazione (da parte di Schembri) dell’avviso che annuncia l’inizio dei lavori, si sono dichiarati non colpevoli, respingendo le accuse di omicidio colposo per Sofia e lesioni gravi nei confronti di altri 5 operai rimasti coinvolti nell’incidente.
Secondo le deposizioni dell’ispettore di polizia e degli altri agenti che hanno seguito il caso, una volta giunti sul luogo della tragedia proprio Schembri, Buhagiar e Jovicevic avrebbero dimostrato di non sapere indicare con certezza quanti operai fossero presenti nel sito al momento del crollo, rendendo ancor più complicate le frenetiche operazioni di soccorso di quelle ore.
Schembri ha dichiarato alla polizia di essere lui il capocantiere, ma è stato vago quando gli è stato chiesto cosa conoscesse del suo ruolo, limitandosi ad affermare che «l’architetto non mi ha dato molte indicazioni».
Proprio Schembri sarebbe stato il primo ad informare le autorità riguardo la possibile presenza di Sofia tra le macerie dell’edificio, confermata in seguito dalle rilevazioni GPS sul suo cellulare, dichiarando di averlo mandato lui stesso sul posto per scattare alcune fotografie che riportassero lo status dei lavori.
I due erano legati da un rapporto lavorativo tramite la Whitefrost Ltd di proprietà di Schembri, società per la quale Sofia era impiegato come installatore di condizionatori. Un’azienda totalmente slegata dal progetto di Kordin, se non per il fatto che il comune proprietario (lo stesso Schembri), avesse dato vita insieme a Buhagiar ad una joint venture (AllPlus Ltd) che promuovesse il progetto e, per la quale, evidentemente, è stato disposto a “prestare” i propri dipendenti alla neonata azienda.
Durante l’udienza si è registrato il dissenso dei famigliari della giovane vittima a seguito delle ricostruzioni del commissario di polizia che ha raccontato come, durante l’interrogatorio, Schembri fosse scoppiato in lacrime mentre ricordava Jean Paul che ha definito «un fratello, non un semplice operaio», indicando invece Milomir Jovicevic come il soggetto responsabile del cantiere di Kordin.
Come ricordato in precedenza, sempre Schembri è indagato anche per falsa testimonianza per la documentazione di inizio lavori riportante il nome di suo zio, John Muscat, che alla polizia aveva dichiarato di non essere autore della firma, con la perizia calligrafica che sembra confermare le parole di quest’ultimo aggiungendo, inoltre, che la mano firmataria possa verosimilmente essere quella del nipote.
Confermato invece il rifiuto dei coniugi Jovicevic e Zammit di rispondere alle domande degli inquirenti nei giorni successivi al crollo, secondo le difese a causa della mancata concessione di piena divulgazione delle prove a loro carico, aggiungendo come una volta raggiunto il cantiere dopo il crollo proprio l’architetto avrebbe palesato quello che gli inquirenti hanno definito “un forte stato di shock”. «Ci ha riferito che la sua vita era finita» riporta Malta Today.
Il caso tornerà in aula il prossimo 19 settembre, mentre per giovedì si attendono i primi risvolti della prima seduta relativa l’inchiesta pubblica ottenuta dai famigliari di Jean Paul dopo mesi di battaglie.