È tornato in aula il caso dei sette giovani siriani arrestati lo scorso 29 aprile con accuse legate al terrorismo durante un’operazione congiunta tra le forze dell’ordine e l’Europol avviata all’inizio di quest’anno.
Ajil Al Muhsen (21), Adnan Maashi (21), Yazan Abduklaziz (26), Ahmed Kadas (25), Khalil Al Mahmoud (21), Ahmed Ahmed (27) e Mohammed Mohammed (24) sono accusati di aver dato vita ad una vera e propria campagna estremista attraverso messaggi social sovversivi, finalizzati al reclutamento e al finanziamento di attività terroristiche, diffondendo inoltre materiale e conoscenze riguardanti la realizzazione di esplosivi e l’utilizzo di armi da fuoco, finanziando e organizzando spostamenti anche all’estero per gli addestramenti.
Secondo i resoconti dei media locali, sui cellulari di due dei sette accusati sarebbero stati trovati centinaia di immagini e video scioccanti; oltre a quelli raffiguranti le bandiere appartenenti all’organizzazione terroristica nota come Stato islamico o Daesh, alcuni dei file avrebbero infatti mostrato vere e proprie esecuzioni, fin nel più macabro dettaglio.
A fornire i resoconti sui dati estratti dai dispositivi è stato un sergente di polizia dell’Unità antiterrorismo, salito sul banco dei testimoni nella raccolta prove del processo a carico dei sei giovani.
Il telefonino di Al Muhsen contava in memoria 123 video raffiguranti bandiere o loghi legati al nucleo terroristico, insieme a registrazioni di esecuzioni e decapitazioni. Un video della durata di 20 minuti ritraeva un uomo rapito e rinchiuso in una gabbia, che è stato prima posto sotto interrogatorio e poi arso vivo. Si tratterebbe del pilota giordano catturato dall’Isis nel 2015. E poi ancora altri 66 file audio e 63 immagini con loghi o foto dei leader dell’autoproclamato Stato Islamico.
Sempre dall’apparecchio di Al Muhsen è emerso che l’imputato era iscritto a 14 canali Telegram noti per diffondere file media relativi all’Isis, probabilmente gli stessi dai quali erano stati scaricati foto e video trovati in suo possesso, come per l’altro accusato.
In merito al cellulare di Ahmed Ahmed, il testimone ha affermato che erano presenti 65 video della stessa tipologia di quelli ritrovati nel telefono del co-imputato, oltre a 17 immagini sempre legate al Daesh o altri nuclei terroristici. Anche Ahmed aveva un account Telegram ed era iscritto a cinque canali dove venivano scambiati file relativi al terrorismo, oltre ad una chat di WhatsApp nella quale sono stati trovati loghi e bandiere del gruppo.
Il caso tornerà in aula la prossima settimana. Nel frattempo gli imputati rimarranno in custodia cautelare.