La Prima Sezione Civile ha riconosciuto una violazione dei diritti fondamentali nei confronti di nove migranti richiedenti asilo che nel 2020 furono detenuti su imbarcazioni turistiche al largo di Malta, durante la fase più acuta della pandemia da COVID-19. La sentenza stabilisce un risarcimento totale di 20.000 euro a favore dei nove migranti che presentarono una dichiarazione giurata per le condizioni degradanti in cui furono costretti a vivere per settimane.
“Una prigione in mare” senza base legale
I fatti risalgono alla primavera di cinque anni fa, quando 32 persone fuggite dalle aree di conflitto in Libia e soccorse nell’area SAR maltese, furono trattenute per settimane a bordo di imbarcazioni private affittate dal governo, senza ordini formali di detenzione e senza la possibilità di ottenere consulenza legale, comunicare con le famiglie o richiedere asilo. Anche alle organizzazioni umanitarie come l’UNHCR e l’Agenzia per il Benessere dei Richiedenti Asilo (AWAS) fu negato l’accesso.
Ora, il tribunale, ha giudicato che le condizioni a bordo di quelle imbarcazioni – inclusa la mancanza di spazi per dormire e servizi igienici adeguati e insufficienti – hanno costituito un trattamento degradante, in violazione della Costituzione maltese e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Tuttavia, il giudice non ha riscontrato elementi sufficienti per qualificare tali condizioni come trattamento “inumano” o “tortura”.
Detenzione illegale anche a terra
La Corte ha anche distinto tra la detenzione in mare e quella successiva all’ingresso in territorio maltese. Una volta sbarcati, alcuni migranti furono collocati in centri di detenzione senza una chiara base legale o notifiche ufficiali, impedendo loro di contestare legalmente la loro custodia. Questo, secondo il giudice, ha costituito una violazione del diritto alla libertà e delle garanzie procedurali fondamentali.
Nonostante ciò, la Corte ha riconosciuto che lo Stato agì in buona fede, trovandosi in un’emergenza nazionale senza precedenti, sottolineando tuttavia che nemmeno tali circostanze straordinarie possono giustificare la sospensione dei diritti fondamentali.
La reazione del Governo: «Decisioni prese per il bene del Paese»
In una dichiarazione ufficiale, il Governo maltese ha preso atto della sentenza, sottolineando che le decisioni prese nel 2020 furono adottate nell’interesse nazionale, in un contesto straordinario causato dalla pandemia globale. Il comunicato afferma che la chiusura dei porti, degli aeroporti e dei centri per migranti ha reso necessario il ricorso a soluzioni alternative.
Il Governo ha accolto favorevolmente la constatazione della Corte che le autorità agirono «in buona fede» e «senza intento premeditato di degradare o trattare in modo inumano i migranti». Ha inoltre evidenziato che ai richiedenti fu garantito accesso al protocollo di asilo non appena sbarcati sul territorio, e che alcuni furono successivamente trasferiti in altri Paesi dell’Unione Europea o rimpatriati.
Pur riconoscendo le carenze nei servizi igienici e nello spazio per dormire a bordo delle navi, il Governo ha sottolineato che la Corte ha respinto altre accuse tra cui la mancanza di cure mediche e di mezzi per comunicare con le famiglie.
Infine, l’esecutivo di Abela ha ribadito che «le decisioni passate ed attuali intraprese in materia di politiche migratorie mirano a rafforzare la sicurezza del nostro Paese, riducendo al contempo il numero di sbarchi irregolari, nel pieno rispetto dei diritti umani e degli obblighi internazionali del nostro Paese».
(immagine di repertorio)
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