Torna in tribunale la vicenda che vede nove delle undici persone arrestate durante i raid compiuti lo scorso 12 agosto e accusate di far parte di un’organizzazione criminale dedita alla tratta di esseri umani ai fini della prostituzione. Nello specifico, i sospettati avrebbero adescato donne sudamericane che venivano portate a Malta e ridotte a schiave del sesso nelle case a luci rosse, sfruttate anche nei proventi che guadagnavano.
Nel corso della raccolta prove sono state chiamate a testimoniare due delle presunte vittime, giovani ragazze che sarebbero arrivate sull’arcipelago per vendere il proprio corpo, una delle quali con la consapevolezza di farlo, mentre l’altra totalmente all’oscuro del proprio destino. Entrambe mosse dalla speranza di costruirsi un futuro migliore e attirate dalla promessa di un lavoro redditizio, ben pagato, offerto loro da dei conoscenti o “amici di amici” che le avrebbero persuase.
Il biglietto aereo sarebbe stato finanziato dal clan ma, una volta giunte a Malta, lo stesso ne avrebbe chiesto il rimborso, oltre a trattenere la metà dei soldi guadagnati delle prestazioni svolte sommati alle spese per l’affitto dell’appartamento-bordello (750 euro al mese a testa) in condivisione con le altre prostitute.
Questi dettagli sono stati riferiti dalla prima testimone, una 24enne venezuelana che ha dichiarato di aver iniziato a lavorare come prostituta subito dopo il suo arrivo a Malta, su base quotidiana e per diverse ore «finché il mio corpo poteva sopportarlo», facendosi pagare 100 euro l’ora per le sue prestazioni e arrivando a guadagnare tra i 5.000 e i 6.000 euro nel giro di due settimane.
Dopo aver saldato il debito del prezzo del biglietto aereo (circa 3.500 euro) le era stato detto che avrebbe ricevuto il 55% dell’intera somma guadagnata prostituendosi una volta fatto rientro in Venezuela. Tuttavia, il bordello è stato chiuso durante la retata delle forze dell’ordine e di quei soldi è riuscita a tenere per sé solamente poco più di 700 euro per acquistare un nuovo smartphone. Sperava di risparmiarli per coprire i costi dell’operazione di sua figlia.
Successivamente a testimoniare è stato il turno di una ventenne colombiana, coinquilina della 24enne ma, a differenza sua, ignara del lavoro che avrebbe dovuto svolgere una volta messo piede a Malta. Nel suo Paese d’origine faceva l’estetista e sporadicamente si sarebbe prostituita per racimolare qualche soldo. Sull’arcipelago nel giro di quattro giorni la giovane avrebbe guadagnato circa 1.120 euro ma, come per la “collega”, anche a lei era stato riferito che sarebbe stata pagata solo al suo rientro in Colombia. Il suo obiettivo era quello di risparmiare a sufficienza per pagarsi un biglietto di sola andata verso Bilbao e ricongiungersi con la sorella per cambiare vita.
Entrambe le presunte vittime hanno fornito la medesima ricostruzione circa la struttura dell’organizzazione, indicando come “capo” un soggetto che si faceva chiamare “Elmo” o “Miguel”, colui che le avrebbe prese in carico sin dall’aeroporto spiegando loro la gestione del lavoro, incassato i guadagni, organizzato gli spostamenti e gli appuntamenti con i clienti via WhatsApp. L’individuo è stato identificato in aula e corrisponde all’imputato Clint Lawrence D’Amato.
I nove indagati sono stati arrestati nella prima mattinata di lunedì 12 agosto durante i blitz compiuti dalle forze dell’ordine in diverse località dell’arcipelago e successivamente condotti in tribunale per rispondere alle accuse di riciclaggio di denaro, associazione a delinquere, adescamento ai fini della prostituzione, sequestro di persona, sfruttamento dei proventi derivanti dalla prostituzione e gestione di case a luci rosse.
Gli imputati sono i cittadini maltesi Luke Farrugia (36 anni di Birkirkara), Clint Lawrence D’Amato (36 anni di Gudja), Dylan McKay (30 anni di Fgura), Gordon Cassar (44 anni di Kalkara), Kane Vassallo (22 anni di Siggiewi), Luca Emanuele Corito (21 anni di Senglea), Denzil Farrugia (19 anni di Sliema) e i cittadini rumeni Alexandra Suhov Pocora (32 anni) e Nicolae Efimov (37 anni), entrambi residenti a St. Paul’s Bay. Sono tuttora in custodia cautelare e continuano a dichiararsi non colpevoli.