Torna in tribunale la vicenda che vede nove delle undici persone arrestate durante i raid compiuti lo scorso 12 agosto e accusate di far parte di un’organizzazione criminale dedita alla tratta di esseri umani ai fini della prostituzione. Nello specifico, i sospettati avrebbero adescato donne sudamericane che venivano portate a Malta per vendere il proprio corpo nelle case a luci rosse.
In aula è comparsa alla sbarra la prima delle due testimoni chiamate a deporre sul caso, che in sostanza ha confermato lo schema illustrato la scorsa settimana dalle due “colleghe”, ovvero che l’organizzazione le avrebbe pagato il viaggio aereo Colombia-Madrid e Madrid-Malta dal costo complessivo di 3.700 euro, un debito che avrebbe saldato con i proventi guadagnati vendendo il proprio corpo, la metà dei quali sarebbero stati trattenuti sempre dal clan.
La donna, originaria di Medellin, sarebbe venuta a Malta totalmente consapevole del lavoro che avrebbe dovuto svolgere e che già praticava nel suo Paese d’origine dove la prostituzione è legale. Sarebbe stata agganciata da un’amica/collega di nome Michelle che le avrebbe spiegato l’iter per raggiungere l’arcipelago, grazie all’ausilio dell’organizzazione. La suddetta Michelle avrebbe fatto parte di un gruppo WhatsApp all’interno del quale le escort si scambiavano informazioni circa nuove opportunità di lavoro all’estero, sicuramente più redditizie di quelle nel loro Paese d’origine.
Una volta atterrata a Malta, la presunta vittima sarebbe stata prelevata dall’aeroporto da un’auto di colore bianco e trasferita nella residenza condivisa con un’altra prostituta. Alla guida del mezzo ci sarebbe stato sempre “Miguel”, identificato nell’imputato Clint Lawrence D’Amato, come riferirono anche le precedenti testimoni.
Nel giro di dieci giorni di lavoro, la donna sarebbe riuscita ad incontrare mediamente cinque o sei clienti al giorno dalle 16:00 alle 2:00, offrendo prestazioni ad una tariffa oraria di 100 euro, racimolando complessivamente 4.000 euro; cifra della quale non sarebbe riuscita ad intascare neanche il 55% pattuito con D’Amato, finito per saldare il debito del viaggio. In quel periodo avrebbe vissuto grazie alle mance e ai servizi extra che avrebbe somministrato ai suoi clienti, 1.500 euro in tutto, gli unici soldi rimasti nelle sue tasche, parte dei quali ha inviato in Colombia per aiutare la figlia e la famiglia, motivo che l’aveva spinta a venire a lavorare a Malta come prostituta.
La testimone ha confermato che ogni informazione le era stata fornita da D’Amato, il quale si occupava di fissarle pure gli appuntamenti con i clienti e di riscuotere settimanalmente il denaro. Ha inoltre dichiarato di non essere stata maltrattata né di aver subito abusi a Malta.
A deporre è stata poi chiamata anche una seconda teste, anch’essa originaria di Medellin dove aveva già svolto l’attività di escort, e che a sua volta ha sostanzialmente confermato la versione della collega. Era venuta a conoscenza dell’opportunità lavorativa a Malta tramite un gruppo WhatsApp e, attirata dalle prospettive di guadagno che le avevano palesato via chat, aveva scelto di recarsi sull’arcipelago con l’obiettivo di racimolare soldi sufficienti per aiutare la sua famiglia e i suoi figli in Colombia.
Era arrivata a Malta da soli tre giorni insieme ad una delle due testimoni che ha deposto nella precedente seduta prima di essere arrestata dalla polizia che ha fatto irruzione nell’appartamento che condivideva con altre prostitute. In quel lasso di tempo era riuscita a incontrare quattro clienti guadagnando 600 euro che erano stati intascati dall’organizzazione per saldare i debiti del viaggio dalla Colombia a Malta.
D’Amato è stato indicato ancora una volta come figura chiave nella gestione delle prostitute: lui si occupava degli appuntamenti con i clienti e degli spostamenti in auto dall’aeroporto e dall’appartamento al luogo in cui avvenivano gli incontri. Anche in questo caso, la donna ha confermato di non aver subito abusi durante la sua breve permanenza a Malta.
La vicenda al momento vede in tutto nove soggetti indagati e accusati di riciclaggio di denaro, associazione a delinquere, adescamento ai fini della prostituzione, sequestro di persona, sfruttamento dei proventi derivanti dalla prostituzione e gestione di case a luci rosse. Sono tutti stati arrestati nella prima mattinata di lunedì 12 agosto durante i blitz compiuti dalle forze dell’ordine in diverse località dell’arcipelago.
Gli imputati sono i cittadini maltesi Luke Farrugia (36 anni di Birkirkara), Clint Lawrence D’Amato (36 anni di Gudja), Dylan McKay (30 anni di Fgura), Gordon Cassar (44 anni di Kalkara), Kane Vassallo (22 anni di Siggiewi), Luca Emanuele Corito (21 anni di Senglea), Denzil Farrugia (19 anni di Sliema) e i cittadini rumeni Alexandra Suhov Pocora (32 anni) e Nicolae Efimov (37 anni), entrambi residenti a St. Paul’s Bay. Sono tuttora in custodia cautelare e continuano a dichiararsi non colpevoli.
Il caso tornerà nelle aule di tribunale mercoledì 28 agosto.