Di quanto accaduto quella tremenda sera del settembre 2008, quando una minorenne tentò il suicidio gettandosi dai bastioni di Valletta, i genitori non hanno alcuna colpa. Lo ha deciso la Corte d’Appello nella sentenza pronunciata nei giorni scorsi.
La ragazzina, al tempo 17enne, decise di farla finita al culmine di un acceso litigio con il fidanzato con il quale stava trascorrendo la serata passeggiando nei pressi delle fortificazioni della capitale. Un battibecco, il cellulare del ragazzino gettato oltre le mura e poi il salto nel vuoto conclusosi travolgendo una donna, all’epoca 40enne, che si trovava seduta sul marciapiede sottostante. Un impatto micidiale che causò a quest’ultima lesioni gravissime tanto che, da allora, è costretta a vivere su una sedia a rotelle.
Fino a una settimana prima dell’episodio, la minorenne si trovava ricoverata presso l’ospedale psichiatrico Mount Carmel, dove le fu diagnosticato un disturbo borderline della personalità dopo un episodio di overdose. Secondo i genitori, era caduta in depressione a causa delle delusioni scolastiche e di alcuni episodi di bullismo subiti l’anno precedente.
Dopo l’incidente, la vittima decise di citare in giudizio la giovane e i suoi genitori accusandoli di negligenza nella supervisione della figlia, ottenendo in prima istanza presso la Corte Civile il riconoscimento di un risarcimento pari a 190.000 euro, attribuendo il 60% della colpa alla ragazza e il restante 40% a loro.
Una decisione ribaltata ora dalla Corte d’Appello che, analizzando il trascorso clinico della giovane che in passato aveva già manifestato comportamenti autolesionistici e suicidari, ha deciso di sollevare i genitori da ogni responsabilità stabilendo che l’incidente è imputabile ad un gesto impulsivo, del tutto imprevedibile e al di fuori dal loro controllo.
Infatti, secondo la sentenza, la madre e il padre della 17enne avevano seguito le raccomandazioni dei medici di «metterla alla prova nella vita reale», permettendo alla figlia di uscire con il fidanzato quella sera fino alle 22:00, mantenendosi in constante contatto con lei e aspettandola insieme al fratello in macchina vicino a Castille per riaccompagnarla a casa in seguito all’incontro.
Alla luce di tali considerazioni, il tribunale ha accolto l’appello dei genitori concludendo che non sussiste alcuna prova che abbiano in qualche modo «contribuito allo stato mentale precario o al gesto della figlia», revocando la sentenza nei loro confronti.