Un cittadino nepalese giunto a Malta con la speranza di un futuro professionale migliore ha dichiarato di aver pagato 4.000 euro per ottenere un permesso di lavoro sulla base di un contratto di lavoro rivelatosi poi fittizio, presuntamente falsificato da un ex dipendente di un’agenzia informatica governativa.
È quanto emerso in aula nel procedimento a carico del 37enne Andre D’Amato, professionista nel campo dell’informatica ed ex dipendente della Malta Information Technology Agency (MITA), accusato di vari reati tra cui traffico di esseri umani, riciclaggio di denaro, uso improprio di computer, frode, falsificazione di documenti e false dichiarazioni.
D’Amato era un funzionario del MITA nel 2018 e fino al maggio di quest’anno, ovvero nel periodo in cui si sarebbero verificati i presunti reati. Era stato anche nominato ambasciatore non residente a Cuba, ma è stato rimosso dall’incarico lo scorso anno, appena sono emerse le prime accuse a suo carico.
Magar Dil Bahadur, testimone e vittima, ha raccontato alla corte di aver trasferito 4.000 euro a un suo amico e connazionale residente a Malta per entrare in possesso del permesso di lavoro. La procura sostiene che quest’ultimo abbia poi trasferito i soldi a D’Amato affinchè presentasse la domanda per ottenere il permesso di lavoro per conto del nepalese e di altri suoi clienti, tra i quali sarebbe figurata anche la società con sede a Qormi che avrebbe dovuto dare da lavorare a Bahadur.
Tuttavia, il direttore della suddetta compagnia ha testimoniato di non aver mai sentito parlare di Bahadur e di aver scoperto che il contratto era stato falsificato, insieme alla sua firma, presente su carta intestata che presentava pure il logo della società scaricato dal sito web.
La denuncia è scattata quando il cittadino nepalese si è presentato presso gli uffici dell’azienda per chiedere una firma sul contratto. Insospettito, il dirigente ha segnalato la vicenda alle forze dell’ordine indicando inoltre che la domanda era stata presentata a loro insaputa, utilizzando documenti contraffatti.
Le indagini della polizia hanno rivelato che i contratti falsificati per consentire a Bahadur di ottenere un permesso di lavoro erano stati caricati sul portale dell’agenzia governativa Identità utilizzando la carta d’identità elettronica di D’Amato, confermata anche attraverso l’autenticazione a due fattori. Durante l’udienza, Bahadur ha dichiarato di non aver mai lavorato per la compagnia, di non conoscere D’Amato e di averlo sentito solo una volta al telefono.
L’avvocato della difesa ha contestato la richiesta della procura di effettuare un download completo dei dati presenti sui dispositivi elettronici di D’Amato, sottolineando che si tratterebbe di un’azione “eccessiva”, non giustificata dalla portata della vicenda. Il caso tornerà in aula il prossimo mese.