Valletta gremita di sostenitori del partito laburista radunati dalle 9:00 di martedì mattina sotto il sole battente davanti al tribunale per offrire sostegno all’ex Primo Ministro, Joseph Muscat, all’ex ministro Konrad Mizzi e all’ex capo del Gabinetto Keith Schembri. I tre, insieme ad altri 20 imputati (9 dei quali sono aziende), sono stati chiamati ad affrontare 32 accuse, tra le quali riciclaggio, frode, appropriazione indebita, corruzione e associazione a delinquere.
Un clima caldo quello creato dalle centinaia di presenza, tanto da portare la Farnesina nelle scorse ore a diramare una nota invitando alla prudenza i connazionali in visita a Valletta tra oggi e domani, diventato ancor più rovente all’arrivo di Muscat e Mizzi, accolti da cori da stadio e da scene al limite dell’estasi, in particolare modo dopo che i due imputati hanno professato la propria innocenza definendo «congetture» le accuse mosse nei loro confronti. L’accaduto è stato commentato anche dal presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, come «l’esempio di ciò che Malta non dovrebbe essere», una dimostrazione che «il Primo Ministro ha perso il controllo» creando un clima dominato «dall’iper-faziosità e dal tribalismo».
Aria tesa anche nel padiglione 22 del tribunale, dove dinnanzi a 78 buste probatorie fornite dagli inquirenti, è iniziato il processo con la richiesta della procura di un provvedimento di sequestro conservativo per gli imputati che arriva a toccare cifre mostruose, che prevedono il congelamento di 32 milioni a Muscat, Mizzi e Schembri, ed altri ai restanti imputati e aziende sotto indagine.
Un’istanza al centro di lunghe discussioni tra il procuratore generale e i legali difensori, che hanno chiesto in anticipo di poter visionare le prove raccolte per giustificare la sanguinosa entità delle cifre alle quali apporre i sigilli, lontane per la difesa da quelle contestate dalle carte, ma che secondo lo stesso procuratore sono indicate nelle 100 pagine conclusive del rapporto d’inchiesta in cui si indicano i proventi degli illeciti. La seduta è poi ripresa con il magistrato che ha respinto le richieste avanzante dalla difesa, dichiarando che non spetta al tribunale determinare il valore degli importi soggetti a congelamento.
Solo nel tardo pomeriggio, dopo quattro estenuanti ore di dibattito sull’ordine di sequestro conservativo, è salito sul banco a deporre il primo testimone, il Tax commissioner Joseph Caruana, il quale ha confermato di aver richiesto, invano, l’intervento delle autorità per indagare su Christopher Spiteri. Successivamente è stato il turno del sovrintendente dell’unità per i crimini economici dell’Asset Recovery Bureau, Rennie Stivala, e dell’ex ispettore Anthony Scerri, entrambi chiamati a deporre sui dispositivi elettronici sequestrati nel 2020 e delle perquisizioni effettuate nelle abitazioni di David Meli, Pierre Sladden e Mario Gatt, negando l’esistenza di un’indagine parallela a quella magistrale condotta dalla polizia.
Durante il controinterrogatorio, lo stesso Scerri ha confermato la presenza di un «perito irlandese» insieme ad altri quattro esperti nominati dal tribunale durante le perquisizioni, in particolare quella all’abitazione di Joseph Muscat, rinviata a seguito di una fuga di notizie uscita nei giorni precedenti su diversi media maltesi. In quell’occasione, conferma Scerri, gli ispettori erano alla ricerca di un contratto che è stato consegnato alle autorità direttamente dall’ex Primo Ministro.
La seduta si è conclusa in serata con l’appello del magistrato rivolto agli imputati e ai loro legali, affinchè mantengano il silenzio stampa su quanto emerso in tribunale, evitino di parlare con la stampa e non divulghino anche a mezzo social qualsiasi testimonianza, prova o quant’altro possa non garantire l’equità del processo, anche «alla luce di alcune dichiarazioni che non hanno giovato al processo penale e che si adattano meglio a una serie TV o Netflix», con un chiaro riferimento alle recenti esternazioni rilasciate da Muscat, Mizzi e Spiteri.
Una richiesta fortemente contestata dagli avvocati difensori che hanno parlato di violazione della libertà di espressione dei propri assistiti, ma tant’è. Tutti e 23 gli imputati, aziende comprese, si sono dichiarati non colpevoli.