Dopo la “spietata” sentenza che a fine marzo scorso assolse da ogni accusa l’autista del mezzo pesante che travolse ed uccise Johanna Boni, sembra ora essersi aperto uno spiraglio di luce per la famiglia della 27enne italo-maltese che, da 7 anni, vive sotto un pesantissimo cielo grigio, spento dalla morte della figlia.
Giovedì 20 aprile, infatti, il procuratore generale ha messo in discussione la precedente sentenza emessa dal terzo magistrato incaricato di seguire il caso, Nadine Lia, evidenziando una errata interpretazione delle prove raccolte sull’incidente che attribuivano le piene responsabilità dell’accaduto proprio alla giovane motociclista, la quale, secondo le carte, avrebbe eseguito una manovra calcolata male nel tentativo di sorpassare il mezzo con carico lungo e con guida a sinistra, ed esonerando da ogni colpa l’autista del camion, l’allora 53enne Carmel Cauchi.
Una decisione, questa, che torna a dare speranza ad una famiglia che non ha mai smesso di lottare e cercare la verità su quanto accaduto quella maledetta mattina del 5 gennaio 2016 a Naxxar, sicuri dei risultati dei rilievi che affermerebbero come la figlia fosse ferma allo stop nel momento dell’impatto.
«La vita di nostra figlia non ha valore per le autorità maltesi! (…) Vogliamo soltanto la VERITÀ, non ci interessano le pene. Mia figlia ha diritto alla verità! Se si accetta questa sentenza si perde l’inviolabilità dei pari diritti umani!» ci raccontava il mese scorso Giuseppe Boni, papà di Johanna, all’indomani della sentenza che sollevò da ogni responsabilità l’autista del camion, e per la quale presentarono subito ricorso.
«Johanna non ha sicuramente perso la vita per aver superato da sinistra! Solo un testimone ha visto fin dall’inizio l’incidente, e sosteneva che mia figlia fosse ancora ferma allo stop davanti al camion!» afferma Josephine Mifsud, mamma della giovane, «Speriamo solo che, dopo sette anni di sofferenze, la giustizia apra gli occhi alla verità e non li chiuda per salvaguardare le bugie. È più facile incolpare una ragazza innocente o vietare definitivamente i veicoli pesanti con guida a sinistra appartenenti ai milionari maltesi?».
Purtroppo per questi coraggiosi genitori, le battaglie legali non si fermarono e tutt’ora non si fermano “solo” alle dinamiche dell’incidente, bensì si estendono anche a ciò che accadde alle spoglie di Johanna; una vicenda che venne a galla tre anni dopo la tragedia, al momento della tumulazione del nonno della giovane, che espresse come ultimo desiderio quello di poter riposare accanto alla nipote.
Fu in quel momento, all’apertura della tomba, che i genitori constatarono come la figlia giacesse in un comune sacco di plastica per cadaveri, con i vestiti rinvenuti negli angoli del feretro.
La storia scosse profondamente l’opinione pubblica ed i familiari indirizzarono una lettera giudiziaria nei confronti delle autorità maltesi ree di non aver concesso una dignitosa sepoltura alla figlia, come garantito dalla legislazione e dall’umano rispetto. Un altro processo, anche questo, tutt’ora in corso.