«Mafia! Corruzione, massoneria e Opus Dei». Sono queste le esclamazioni che Patrick Dalli, marito del Commissario europeo Helena Dalli, avrebbe rivolto in tribunale al giudice della Corte Suprema Mark Chetcuti nell’ambito di un’udienza del processo che vede imputato il figlio Jean-Mark, arrestato per traffico di droga.
Secondo le cronache locali l’imputato è stato condannato nel 2021 a tre mesi di reclusione per traffico di ecstasy durante una festa a Corradino nel 2013, dopo essere stato sorpreso mentre consegnava sei pillole a un’altra persona.
Il giovane, che all’epoca dei fatti aveva solo 18 anni, avrebbe però fatto ricorso alla sentenza, presentando al tempo stesso una causa per violazione dei propri diritti, sostenendo di non aver avuto un equo processo. Motivo? Non essere stato accompagnato da un avvocato al momento della confessione dei reati commessi alla polizia, quando avrebbe affermato di aver comprato pastiglie di ecstasy per sé e una seconda persona.
Già nel 2022 un tribunale aveva respinto il ricorso, affermando che Jean-Mark-Dalli avrebbe consultato il suo avvocato prima dell’interrogatorio, e che all’epoca la presenza di un avvocato durante l’interrogatorio non era un requisito legale. Ora, il magistrato si è nuovamente espresso allo stesso modo, dopo l’appello presentato dall’imputato, confermando di fatto la condanna. E proprio la decisione della corte avrebbe scatenato l’ira di Patrick Dalli, che tra le altre cose avrebbe sottolineato a gran voce i propri pensieri anche mentre veniva trascinato fuori dall’aula gremita di gente.
Dal canto suo, Chetcuti avrebbe giustificato così la decisione: «La giurisprudenza è chiara: il fatto che una persona sospettata di aver commesso un reato rilasci una dichiarazione senza l’assistenza di un avvocato, non comporta necessariamente una violazione dei diritti fondamentali in un procedimento penale avviato nei suoi confronti».
E ancora: «È chiaro a questa corte che finora non c’è nulla che indichi che il ricorrente non abbia ricevuto un’udienza equa, o che non avrà un’udienza equa davanti alla Corte d’Appello Penale, e quindi non ha subito alcun pregiudizio. Piuttosto, il suo reclamo è servito solo ad allungare inutilmente il procedimento penale». E proprio i tempi più lunghi hanno portato il tribunale a condannare il giovane a pagare il doppio delle spese processuali.
Sulla vicenda si è espresso anche Luke Dalli, fratello maggiore dell’imputato, presentatore televisivo e avvocato. Queste le sue parole, pubblicate sul proprio profilo Facebook: «Oggi mi trovo impotente di fronte ad un ritardo di 10 anni nel processo decisionale dei nostri tribunali. Dieci lunghi anni di strazianti ritardi per ogni membro della mia famiglia. Non abbiamo mai chiesto favori, o niente che vada contro lo spirito della legge. Chiediamo solo la chiusura del caso. Chiusura per mio fratello, per mio padre e mia madre. Chiusura per tutti coloro che amano e rispettano questa piccola unità che io chiamo famiglia. Lo sfogo di oggi è stato un grido di un cittadino ferito. Non solo per il nostro caso, ma per tutti coloro che si ritrovano la vita completamente distrutta da tali ritardi nei procedimenti».