A sei anni di distanza dalla tragica scomparsa di Daphne Caruana Galizia la verità sembra ancora lontana dall’emergere, con i tribunali maltesi che non hanno ancora avuto modo di raccogliere i dati estratti dal telefono e dal sito web della giornalista e che, ancora adesso, potrebbero portare alla luce ulteriori elementi sulla dinamica del suo omicidio e sugli altri casi su cui stava lavorando prima che la sua vita fosse spezzata.
Una scelta per tutelare le fonti di Daphne nonostante proprio ieri sia stata riaperta la raccolta probatoria nei confronti di Yorgen Fenech, sospettato di essere il mandante dell’omicidio.
Invitato ad esibire una copia dei dati estratti dal cellulare e dal sito web “Running Commentary” dell’indimenticata giornalista, il consulente forense Martin Bajada ha riferito l’impossibilità di portare al banco le prove. «Non possiamo renderli pubblici perché su di esso sono presenti informazioni sulle fonti di Daphne» – la chiosa del legale che così ha proseguito – «Se consideriamo le fonti come sacre allora i dati del telefonino non possono essere depositati».
Una situazione quella che si è creata attorno alle prove che, secondo Bajada, “accompagnato” in aula da un documento attestante la consegna dei dati ad un esperto dell’Europol nonché con una copia della denuncia presentata in sede probatoria contro i fratelli Degiorgio e Vincent Muscat, sarebbe riconducibile anche alla giustizia maltese che avrebbe lasciato inascoltate le richieste d’istruzioni avanzate dal consulente su come procedere:
«Avevo richiesto istruzioni su come proteggere l’identità delle fonti, ma non ho mai ricevuto disposizioni dalla corte»
Per questa ragione, secondo quanto riportato dai media locali, Bajada ha affermato che le chat di WhatsApp sul telefono clonato non verranno mostrate fintantoché non riceverà le disposizioni richieste per capire se oscurare le fonti o meno, come imposto in passato dal magistrato, spiegando inoltre come la rimozione dei dati del mittente comporti inoltre la “scomparsa” della data e dell’ora in cui è stato inviato il messaggio sul telefonino, ora nelle mani dell’Europol.
Un’ulteriore grave macchia sulla vicenda è stata inevitabilmente segnata dalle parole del consulente forense che ha segnalato la manomissione dei sigilli utilizzati dalle autorità per conservare le prove raccolte in alcuni dei dischi rigidi contenenti i dati estrapolati dal telefono e dal sito web della giornalista, confermando inoltre come non si conosca l’identità e il movente di colui che ha forzato gli effetti di Caruana Galizia.
A seguito di quest’ultima informazione e su domanda dei rappresentanti legali di Fenech, il sovrintendente Keith Arnaud ha indicato alcune criticità sul metodo utilizzato per classificare chi fosse considerabile come una fonte della giornalista, trovando la risposta del consulente forense che ha rimarcato come questo aspetto debba essere chiarito dalle disposizioni tanto attese del tribunale.
Proprio Arnaud ha infatti sostenuto il fatto che i criteri attualmente utilizzati non fossero sufficienti per tutelare le “gole profonde” che hanno rivelato alla giornalista le informazioni che, a causa del suo assassinio, non sarebbe mai riuscita a rendere pubbliche, richiedendo per questi individui la massima protezione come “fonti protette”.
Da quel momento in poi la difesa di Fenech ha confermato la massima importanza di fornire i dati raccolti con una versione oscurata alle parti ed una versione incensurata alla corte, chiedendo nuovamente che le questioni relative alla definizione delle fonti siano trattate nella prossima seduta in programma per il 3 gennaio quando, secondo quanto annunciato dal Tribunale, sarà emesso un decreto delle camere sul metodo di redazione da utilizzare.