Grazie a un eurodeputato maltese, il laburista Alex Agius Saliba, presto ci saranno in tutt’Europa delle leggi che sanciranno il “diritto alla disconnessione”, ovvero il divieto, per un datore di lavoro, di pretendere che i propri dipendenti siano raggiungibili e operativi fuori dall’orario stabilito. Un problema sempre più frequente da quando, con e-mail e altri strumenti tecnologici, si può tecnicamente lavorare anche da casa propria o mentre ci si trova in vacanza e che è esploso da quando il COVID-19 ha costretto a lavorare da remoto chiunque non fosse obbligato a recarsi fisicamente sul posto di lavoro.
Il Parlamento europeo ha fatto solo il primo passo, approvando lo scorso 20 gennaio una norma con la quale chiede alla Commissione europea di emanare una raccomandazione che, a sua volta, inviterà ciascun Parlamento nazionale a elaborare una propria legge che realizzi questo principio. Quindi, se tutto va bene, ci vorranno almeno due o tre anni prima che questa proposta diventi realtà in almeno alcuni dei Paesi dell’Unione Europea. Nel frattempo, cosa succede? Un impiegato, per esempio, può essere chiamato anche mentre sta cenando con la fidanzata per sentirsi chiedere di inviare urgentemente una mail a un cliente di Hong Kong? O c’è qualche misura di tutela valida già da adesso? Inoltre, la situazione è la stessa in tutta la UE, oppure in alcuni Paesi i lavoratori sono più rispettati che in altri?
Corriere di Malta lo ha chiesto proprio a Saliba, l’autore di questa proposta.
C’è una ragione particolare che ha spinto proprio un deputato maltese a fare questa proposta per tutta l’Unione Europea?
Io ne avevo già parlato in campagna elettorale, ma sappiamo che il problema è generale. In questo momento, un terzo dei lavoratori di tutt’Europa sta lavorando da remoto. Lo ha rilevato una ricerca dell’Ue che ha fotografato una situazione derivante dalla pandemia. Ma, cosa ancora più importante, l’83% degli intervistati ha dichiarato che, lavorando da remoto, risulta impegnato per un maggior numero di ore rispetto a prima.
Ma per chi lavora da remoto le regole del contratto non sono tanto diverse. Se è previsto un orario di lavoro in ufficio, dovrà rispettarlo anche lavorando da casa. È proprio necessario chiarire con una legge specifica che il dipendente può terminare di lavorare dopo aver svolto le sue ore?
C’è una sottile differenza in quanto le leggi sul lavoro regolamentano diritti e doveri compresi tra l’inizio e la fine dell’orario di lavoro, ma non dicono niente rispetto a quello che può succedere dopo. Ecco perché si verificano questi inconvenienti e in qualche caso i Tribunali sono stati chiamati a dirimere questioni poco chiare proprio per la mancanza di norme specifiche. In qualche caso si è persino arrivati ad interpellare la Corte di giustizia europea la quale si è già espressa a proposito di un lavoratore francese che ha dovuto rispondere dal suo cellulare privato a delle chiamate di lavoro. La Francia, poi, ha regolamentato, così come anche l’Italia e la Germania, ma solo a livello aziendale.
È vero che i lavoratori possono rivendicare il proprio diritto alla vita privata, ma a quel punto entra in ballo il potere contrattuale: chi può garantire che, poi, un datore di lavoro non cerchi di liberarsi di un collaboratore poco disponibile a rispondere alle mail o ai whatsapp fuori dall’orario contrattuale?
Questo è proprio il problema che ci siamo posti con la mia proposta in Parlamento. Perché è inutile definire una norma di legge se poi non c’è protezione per i lavoratori. Abbiamo quindi previsto una tutela legale che si basa sull’inversione dell’onere della prova: se un dipendente denuncia una violazione di diritto alla disconnessione, è il datore di lavoro a dovere dimostrare che l’accusa è infondata. Questo per evitare che il lavoratore debba affrontare le procedure complesse che lo scoraggerebbero dal rivendicare un proprio diritto. Inoltre, abbiamo introdotto anche un sistema di arbitraggio, molto più semplice e rapido della giustizia ordinaria. In molti Stati della UE esiste già e abbiamo chiesto di crearlo anche negli altri. Però non possiamo dar vita a un sistema rigido, uguale in tutti i Paesi, perché comunque i sistemi giudiziari sono diversi per ogni Stato.
La sua proposta è stata votata a maggioranza ma non all’unanimità. C’è chi pensa che un’azienda debba sempre potere chiamare un proprio dipendente o aspettarsi una risposta via mail anche la sera tardi o all’alba?
Stiamo importando una cultura del lavoro che è di matrice nipponica. In Giappone si deve “lavorare fino a morire”, ma questo non appartiene alla nostra cultura, occidentale e mediterranea. Alcuni imprenditori dicono che bisogna essere competitivi, ma se questo deve voler dire che i lavoratori non hanno neanche uno spazio privato, e per giunta senza che venga compensato il lavoro extra, la cosa non ha senso. Le aziende chiedono di essere flessibili e nel contempo dichiarano di voler tutelare la salute dei lavoratori, senza però avere delle imposizioni legali. Vogliono quindi realizzare accordi interni alla singola azienda mentre invece noi desideriamo che, in ambito di digitalizzazione, le regole siano chiare per tutti.