Una realtà inquietante, disumana, aberrante è quella dipinta nel rapporto redatto dal difensore civico (ombudsman, a Malta) circa ciò che si verificava all’interno del Corradino Correctional Facility (CCF), il principale istituto penitenziario dell’arcipelago.
L’indagine, avviata nel 2021 a seguito di ripetute denunce da parte dei media e di un esposto dell’Ong Moviment Graffitti, ha messo in luce gravi violazioni dei diritti umani, trattamenti degradanti e una gestione carceraria caratterizzata da intimidazioni e disfunzioni sistemiche.
L’inchiesta ha esaminato il periodo compreso tra luglio 2018, quando il colonnello Alexander Dalli fu nominato direttore delle prigioni, e dicembre 2021, quando lasciò l’incarico. Tuttavia, è emerso che molte delle problematiche affondano le loro radici in un passato ancora più remoto e non è detto che si siano del tutto estinte.
Uno dei punti centrali riguarda la sistematica violazione dei regolamenti carcerari e la mancanza di protocolli operativi standardizzati. Il nuovo direttore, Robert Brincau, subentrato dopo l’era Dalli, ha confermato di non aver trovato registri obbligatori o procedure documentate, evidenziando il livello di caos amministrativo all’interno della struttura. «Non esisteva alcuna chiara distinzione tra compiti e responsabilità», si legge nel rapporto, sottolineando come questa assenza di linee guida abbia facilitato abusi ed ingiustizie a danno dei detenuti.
Le condizioni di detenzione sono state descritte come “inumane e degradanti”. Il rapporto cita testimonianze di ex detenuti e membri dello staff che parlano di punizioni arbitrarie, isolamento prolungato e una cultura dell’intimidazione radicata nella gestione del penitenziario. A tal proposito, un prigioniero ha affermato che il colonnello Dalli era solito circolare per le carceri con un’arma da fuoco infilata sotto la giacca che, occasionalmente, esibiva ai detenuti.
Secondo l’indagine, l’intimidazione era impiegata sistematicamente non solo per mantenere la disciplina, ma anche per scoraggiare l’introduzione di droga e altri materiali illeciti all’interno del carcere.
Tuttavia, il metodo utilizzato spesso oltrepassava i limiti della legalità e della dignità umana, esacerbato da una diffusa ignoranza e mancanza di formazione adeguata da parte delle guardie. Un ex detenuto ha raccontato: «Ogni giorno vivevamo nella paura. Le perquisizioni erano violente, l’isolamento punitivo era usato come minaccia costante, e chi osava protestare subiva conseguenze peggiori».
La questione delle morti e dei suicidi dietro le sbarre è un altro aspetto drammatico emerso dall’indagine. Sebbene il difensore civico non si sia espresso su specifiche responsabilità penali, ha evidenziato come il clima di oppressione e la mancanza di supporto psicologico abbiano contribuito a situazioni estreme. La relazione afferma che «i detenuti più vulnerabili hanno subito un impatto negativo dal trattamento ricevuto fin dal loro ingresso in carcere, il che potrebbe aver contribuito a esiti tragici».
Il problema della droga all’interno del Corradino è stato un altro tema chiave dell’indagine. Durante la direzione di Dalli, le misure repressive hanno ridotto la presenza di sostanze stupefacenti, ma i metodi adottati sono stati fortemente criticati.
Secondo il rapporto, la politica del “pugno di ferro” ha portato a un incremento dell’uso della forza e delle intimidazioni, piuttosto che a un reale recupero dei detenuti. «La lotta alla droga è una necessità, ma non può giustificare abusi e violazioni dei diritti fondamentali», ha dichiarato il difensore civico.
A tutto questo si sarebbe aggiunto anche un clima di “razzismo dilagante” nei confronti delle persone di colore, spesso derise e schernite dalle guardie carcerarie. In particolare, quando ad Hal Far scoppiò una rivolta, i migranti irregolari che furono trasferiti al Corradino vennero fatti inginocchiare e ammanettati, poi colpiti con il getto degli idranti mentre gli venivano aizzati contro dei cani.
L’indagine ha anche sottolineato la necessità di una maggiore trasparenza e supervisione. Il rapporto raccomanda di consentire un accesso più ampio ai media per monitorare la situazione carceraria, nonché di attuare una riforma strutturale che includa valutazioni psicologiche per il personale e il rafforzamento del ruolo del commissario per il benessere dei detenuti, affinché venga percepito come un’autorità indipendente e non come un semplice dipendente del Ministero.
Le conclusioni del difensore civico sono chiare: il carcere di Corradino, durante il periodo analizzato, ha violato sistematicamente i diritti dei detenuti, trasformando la pena detentiva in una punizione aggiuntiva e non prevista dalla legge. Il rapporto afferma con forza che «l’incarcerazione è già una privazione della libertà, e non deve essere aggravata da trattamenti disumani».
Il colonnello Alex Dalli lasciò la guida del Corradino nel novembre 2021 sull’onda di una serie di suicidi dietro le sbarre, quando emersero i metodi “poco ortodossi” praticati all’interno del penitenziario. All’epoca, attivisti, Ong e opposizione chiesero a gran voce le dimissioni del ministro dell’Interno, Byron Camilleri, per aver «sostenuto il comportamento dispotico di Dalli nonostante il ritmo allarmante con cui i detenuti lasciavano la prigione nei sacchi per cadaveri».
Di Dalli non si seppe ufficialmente più nulla, ma si dice che, dopo l’accaduto, gli sia stato affidato in men che non si dica un incarico in Libia, in qualità di rappresentante speciale di Malta, con uno stipendio di circa 98mila euro l’anno.
In risposta alla relazione redatta ora dal difensore civico, il Ministero dell’Interno guidato da Camilleri ha sottolineato che si tratta di considerazioni che fanno riferimento ad un periodo risalente ad oltre tra anni fa e che, da allora, «numerosi cambiamenti sono stati intrapresi» come, per esempio, il contrasto alla piaga della droga, l’incremento dell’organico, la ristrutturazione dell’unità forense e del centro di formazione ufficiali, l’introduzione di un piano di assistenza per ogni detenuto e l’inserimento di quaranta procedure operative standard relative al funzionamento quotidiano dell’agenzia.
Dura la reazione del leader del Partito Nazionalista, che sentenzia: «sotto la guida di Byron Camilleri, il Ministero della sicurezza nazionale si è trasformato in un Ministero dell’insicurezza nazionale e del trattamento disumano».
Bernard Grech ha dichiarato che il rapporto del difensore civico non ha fatto altro che confermare che «la gestione del carcere di Corradino sotto Alex Dalli, difesa per anni da Byron Camilleri, era disumana». Elencando poi una serie di “scandali” avvenuti da quando Camilleri è ministro degli Interni, il PN ne ha chiesto le dimissioni: «abbiamo bisogno di una nuova leadership, una che certamente non includa Byron Camilleri».
(immagine di archivio)
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