La Planning Authority ha dato il via libera al dibattuto piano regolatore che trasformerà il volto di Manoel Island, e di buona parte del lungomare di Gzira, così come siamo stati abituati a conoscerlo.
Sono state quindi ignorate le riserve degli esperti e le oltre 7000 firme raccolte online in poche settimane dai residenti, più altre 1000 in cartaceo, tramite la petizione presentata alla Planning Authority dal gruppo di pressione Inhobbu l-Gzira, con l’obiettivo di salvaguardare il patrimonio storico-archeologico, ambientale e paesaggistico di Manoel Island.
La decisione appare poi ancor più controversa alla luce dei ritrovamenti di epoca Romana risalenti a quasi 2500 anni fa, i quali verrebbero irrimediabilmente compromessi qualora il piano regolatore venisse realizzato così come approvato dalla Planning Authority nella mattinata di giovedì: ne abbiamo parlato con Stefano Furlani dell’Università di Trieste, coordinatore degli studi che potrebbero riscrivere la storia dell’intera area.
Prof. Furlani, nel 2012 un importante studio da lei condotto, “Holocene sea level change in Malta”, ha concentrato parte del lavoro nell’area di Manoel Island. Potrebbe spiegarci in breve di cosa si tratta?
«Il lavoro ha riguardato lo studio di alcune strutture archeologiche costiere in grado di dare informazioni utili allo studio delle variazioni del livello marino dell’isola di Malta. Le strutture di Manoel Island sono molto importanti nell’ambito di questi studi perché sono le sole indicazioni certe sul livello marino in epoca romana».
Nello studio si parla di 4 strutture esaminate nell’area di Manoel Island, che per forma e dimensioni potrebbero risalire al periodo Romano: quali strutture e quali elementi suggeriscono questa lettura?
«Si tratta di 4 vasche scavate nel Calcare a Globigerina. Non è chiarissimo quale fosse stato il loro utilizzo nel passato, per cui sarebbe molto utile preservare le strutture per ulteriori studi futuri, non solo come resti archeologici, ma anche come marker in grado di dare informazioni per studiare il sea level change.
Si tratta di vasche dal fondo piatto, abbastanza ben conservate. La forma ricorda altre strutture simili nel Mediterraneo».
Un unicum sull’isola di Manoel Island o potenziale scoperta di una più vasta area Romana?
«Probabilmente queste strutture erano collegate ad altre possibili opere antropiche, anche sulla terraferma. C’è quindi anche la possibilità che vengano scoperte altre strutture dello stesso periodo».
All’epoca dello studio, e dei relativi ritrovamenti, ha avuto contatti con autorità e/o organizzazioni maltesi?
«Certo, nel lavoro hanno collaborato anche l’archeologo maltese Timmy Gambin e la geografa Ritienne Gauci, sempre dell’Università di Malta».
Di recente il controverso masterplan nell’area è particolarmente dibattuto e avversato da diverse componenti sociali, residenti e non: che idea si è fatto in relazione ai suoi studi?
«Non conosco il progetto. Certo che qualsiasi soluzione che andasse ad intaccare o distruggere i resti archeologici sarebbe assolutamente da evitare.
Infine, nello studio si accenna alle difficoltà date dalla imponente urbanizzazione dell’area: pensa sia troppo tardi per recuperare e valorizzare quel patrimonio storico-archeologico? In caso contrario, quale follow-up?
«Penso che sicuramente l’urbanizzazione ha già probabilmente distrutto molte strutture che sarebbero state utilissime negli studi archeologici e di sea level change. Per quelle strutture purtroppo non c’è più niente da fare. Dovremmo invece cercare di preservare il più possibile le opere che ancora abbiamo a disposizione. Bisogna rendersi conto che qualsiasi opera che cancelli il passato è irreversibile, non si torna più indietro, quindi chi lo fa si assume grosse responsabilità verso chi verrà dopo di noi. Almeno, forse andrebbero ricercate soluzioni che integrino la preservazione del patrimonio storico-archeologico con soluzioni progettuali più soft».