Ai lettori del Corriere di Malta ha dedicato un’esclusiva intervista, riservando inoltre speciali parole di incoraggiamento.
Impegno, dedizione, passione e preparazione sono le caratteristiche che traspaiono sin dal primo momento in cui si incrocia lo sguardo di Giancarlo Berardi, uomo dal sorriso sincero e dallo sguardo curioso, di quelli che non si stancano mai di imparare cose nuove che il mondo sa offrire. L’importante carriera alle spalle non sembra essere un punto di arrivo, bensì un continuo spunto di partenza.
Nato a Genova nel 1949, Giancarlo Berardi, fin da studente, mostra la sua passione per il teatro e per la musica ed inizia l’attività di sceneggiatore di fumetti nei primi anni Settanta, in coppia con Ivo Milazzo, suo compagno di classe alle magistrali.
Scrive vari soggetti per “Diabolik”,“Tarzan”,“Gatto Silvestro” e “Topolino”.
Nel 1973 consegue la laurea in lingue straniere con una tesi sulla Sociologia del Romanzo Poliziesco.
Nel 1974 crea “Ken Parker”, la cui saga continuerà sino al 1998 per poi dare spazio a Julia Kendall, criminologa protagonista di “Julia – Le avventure di una criminologa”, fumetto poliziesco dalle venature noir.
Moltissimi gli altri personaggi che negli anni prendono vita grazie a Berardi che, con talento e dedizione, si conquista un posto di prim’ordine nel panorama della narrativa italiana del ‘900.
Nel 2015 raccoglie 14 sue canzoni in un cd e realizza un comic-movie di WELCOME TO SPRINGVILLE, allegato al libro omonimo edito dalla Mondadori, di cui cura regia, musica e doppiaggio.
Fra i numerosi riconoscimenti, il Premio Anafi e quello Oesterheld, l’Internacional Barcelona de Comics, l’Haxtur e lo Yellow Kid di Lucca.
Il celebre fumetto Julia è ricco di personaggi femminili dalle forti personalità. Da dove nasce questa ispirazione?
«Ho vissuto la mia infanzia in una famiglia-gineceo, circondato da nonne, mamme, zie, cugine, ecc. Passavo il tempo giocando sotto un grande tavolo, incuriosito dai discorsi delle donne, che non badavano a me. Salvo quando gli argomenti diventavano “pruriginosi”, allora calava il silenzio: “C’è il bambino che sente…”, “Ah, ma non capisce”. Un accidente, avevo le orecchie grandi come Dumbo e, d’istinto, intuivo tutto benissimo.
Il mondo muliebre mi ha sempre interessato più di quello maschile. Sin da piccolo ho sviluppato una forte sensibilità femminile, che ha acuito la mia percezione dell’esistenza. È diventata una caratteristica importante anche nella mia attività di narratore, perché, attraverso il meccanismo della mimesi, sono riuscito a empatizzare con le donne e, per quanto possibile, a immedesimarmi nelle loro emozioni. Questa attitudine si coniugava poco con i princìpi della mia generazione, secondo cui i bambini dovevano essere ben differenziati dalle bambine, nel modo di pensare oltre che nel fisico».
È la prima volta che si trova a Malta?
«La prima, ma non l’ultima. Ho qui amici e una famiglia a me cara. Questo posto mi affascina, è un coacervo di culture, persone e razze provenienti da tutto il mondo. Mi offre l’occasione d’imparare cose nuove – la mia attività preferita – e di confrontarmi con le tante sfaccettature della natura umana. È nel confronto con gli altri che impariamo a conoscere meglio noi stessi».
Che ne pensa dell’arcipelago maltese?
«Voglio approfondire, voglio conoscere meglio questi luoghi, cominciando dalla cucina, perchè il cibo è una straordinaria forma di cultura che svela l’essenza intima di un popolo.
La gente maltese, per quanto ho capito, assomiglia a quella ligure: un po’ sospettosa, chiusa, ma che quando ti apre il cuore è per sempre. Io ho la pazienza di chi ha coltivato l’arte dell’attesa, di chi si propone senza imporsi. Sto qua e aspetto. Se verrò accolto, mi farò trovare pronto».
Lei ha ricevuto molti premi anche a livello internazionale. Ha qualcosa da dire ai suoi connazionali che si trovano all’estero e che, magari, come lei ambiscono a fare carriera nel proprio settore?
«Quando mi assegnano un premio, dico sempre di darlo ai giovani, perchè sono loro che hanno bisogno d’incentivi, di sicurezze, di stimoli. Alla mia età, dopo tanti decenni di carriera, ho il sospetto che i riconoscimenti servano più a chi organizza le manifestazioni che a me stesso.
Ho un armadio pieno di targhe e statuine, ma nella stanza dove lavoro tengo solo quelle importanti, quelle collegate a un’emozione speciale. Ad esempio, il premio che ricevetti a Barcellona da Alberto Breccia, che è stato un grande disegnatore e un maestro dei comic. C’incontrammo nel corridoio di un hotel, lui mi venne incontro e mi abbracciò con le lacrime agli occhi: “Questa sera ti consegnerò il premio per il migliore sceneggiatore dell’anno”. Era felice per me. Lui che apparteneva all’olimpo del fumetto.
Non lo dimenticherò mai, certe esperienze ti segnano la vita.
Ai giovani consiglio: “Non accontentatevi di gratificazioni futili, cercate d’imparare, di migliorare. Puntate in alto, puntate all’impossibile, non accontentatevi della mediocrità. Fatevi spugna, rubate da chi ne sa più di voi”».
Trova qualche similitudine tra Genova, la sua città natale, e Malta?
«Sì, tantissime. Sono entrambi luoghi di mare, dove tutte le strade si dirigono verso i porti. A Genova abbiamo le crêuze, mulattiere che dai monti portano alle rive. Fabrizio De Andrè gli ha dedicato un disco meraviglioso, “Crêuza de mä”.
Mi trovo quindi come a casa mia: sento i profumi, l’aria salmastra, la carezza del vento, vedo le rocce corrose, le costruzioni in legno; tutti elementi che non mi lasciano indifferente. È una sensazione estraniante: percepisco qualcosa di familiare, che mi pervade, ma in un posto sconosciuto».
Tra i numerosi personaggi a cui ha dato vita in tutti questi anni, ce n’è uno preferito o uno che ha particolarmente a cuore? Se si perché?
«Io non sono padre nella vita. Ho solo figli di carta, a cui ho dato in eredità i miei cromosomi. Raccontando di loro, sono riuscito a scoprire cose di me che non conoscevo, amplificate dalla scrittura: una sorta di autoanalisi psicanalitica.
Intorno ai vent’anni, dopo un periodo fortemente politicizzato, uscii dal famoso Sessantotto con un senso di profonda frustrazione. La nostra lotta per una società più giusta, fatta di libertà e uguaglianza, era naufragata nella violenza e nella politica miope. Così mi sono concentrato sui valori che avevo dentro, quelli innati: un corredo composto da dignità, rispetto e coerenza. Da questa esperienza, nel 1974, è nato Ken Parker, un personaggio che vive nel selvaggio West dell’Ottocento americano. Il West era un luogo inesplorato, senza regole, in cui ognuno doveva cercare dentro di sé le leggi fondamentali dell’esistenza e della coesistenza.
Scrivendo la vita di Ken, ho tracciato anche la mia, in un gioco di rimandi e di influenze.
Julia invece, nata nel 1998, è una donna moderna, una criminologa trentenne, molto preparata professionalmente. Sul lavoro spesso surclassa gli uomini, in virtù del suo istinto e della sua determinazione. Una peculiarità delle donne, a cui la natura ha assegnato un compito essenziale nella vita. Ho dovuto superare i quarant’anni, per poter raccontare un personaggio femminile in prima persona. Questione di maturità.
Dal punto di vista fisico, mi sono ispirato a Audrey Hepburn, un’attrice cinematografica che ho amato sin da piccolo: figura longilinea, occhi da cerbiatta, sorriso che incanta. Julia, è un personaggio completamente diverso da Ken Parker. Lui ha dalla sua la suggestione degli spazi e dei cieli delle grandi pianure. Un cavaliere solitario inserito in questo contesto è già un’immagine poetica.
Al contrario, Julia vive e lavora in un ambito metropolitano, caratterizzato da stress, smog, inquinamento acustico, traffico e febbrile agitazione. Per rendere meglio questo tipo di ambiente, ho dovuto cambiare stile di scrittura e di regia.
Oggi, dopo vent’anni, la saga continua, e continua anche la mia indagine sul mistero dell’Uomo».