Il viaggio apostolico di Papa Francesco sull’arcipelago maltese si è concluso domenica sera dopo due giornate ricche di partecipazione collettiva, di immagini di gioia, ma anche di parole di riflessione che, si spera, possano aver fatto breccia nel profondo, affinchè non rimangano relegate solamente all’evento.
L’importanza del messaggio trasmesso dal Papa si era infatti già fatta nitida ancora prima che arrivasse a Malta. Nella giornata di venerdì 1 aprile, infatti, è stata resa nota l’operazione condotta dalla ONG tedesca Sea-Eye 4 in acque mediterranee, per sottrarre i 106 migranti provenienti da Egitto, Nigeria, Sudan, Sud Sudan e Siria ad un triste destino.
Sea-Eye ha chiesto il supporto di Malta per poter fornire ai migranti un porto sicuro in cui sbarcare. Una richiesta che, neanche a dirlo, Valletta ha negato, invitando l’equipaggio a rivolgersi al proprio stato di bandiera, la Germania. Una situazione disperata che spinto l’imbarcazione tedesca ad appellarsi alle autorità italiane, trovando nel sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, garanzia di sbarco e accoglienza, con una dichiarazione che ha sbloccato l’impasse: «su SeaEye 4 ci sono ora 106 persone in cerca di un porto. Palermo è pronta ad accogliere. Non c’è tempo da perdere. Si difenda la vita».
Il rapporto tra Sea-Eye e Malta è complesso e non particolarmente sereno: l’ultima volta che lo Stato insulare ha aperto i suoi porti all’ONG tedesca risale al 2019.
La visita del pontefice con le preannunciate tematiche sulla migrazione, molto care al Santo Padre, a meno di ventiquattro ore dagli appelli lanciati dal Mediterraneo, sembravano poter rappresentare un concreto punto di svolta, una finestra di dialogo inedita.
Una sensazione che anche Bernard Isler, presidente di Sea Eye, nella giornata di venerdì ha apertamente manifestato, twittando parole di speranza affinchè il messaggio di Papa Francesco potesse ricostruire un legame parzialmente reciso ormai da tempo: «Forse un appello inequivocabile del Papa al governo maltese può far sentire Malta, in quanto stato più vicino all’UE, responsabile di 106 persone in cerca di protezione».
E tra i tanti temi affrontati, davanti ai microfoni delle emittenti maltesi ed internazionali, il pontefice ha ripetutamente affrontato il tema dei flussi migratori, invocando un approccio principalmente umano prima che politico, invitando gli Stati europei ad operare secondo strategie basate sulla coesione anziché sull’isolamento e sulla mancanza di responsabilità.
Il primo intervento, tenuto sabato mattina nel palazzo del Gran Maestro, ha visto Papa Francesco ricordare come l’origine di Malta risieda nelle parole “porto sicuro”. Il pontefice ha voluto specificare l’esigenza di intavolare una discussione profondamente europea e collettiva sul tema dell’accoglienza, mai più isolata.
E, soprattutto, ha voluto evidenziare con forza come ogni migrante nel Mediterraneo sia principalmente “un fratello o una sorella in cerca di speranza”. È stata proprio la speranza l’essenza dell’ultima tappa del viaggio di Papa Francesco a Malta.
Il pontefice si è fermato nel Centro di accoglienza Giovanni Paolo XXIII ad Hal Far per ascoltare le struggenti testimonianze di lotta per la vita dei sopravvissuti al Mediterraneo, raccontate direttamente dai più di 200 migranti presenti.
La speranza, al tempo stesso, è anche rappresentata dalla possibilità, infusa dalla presenza del Papa, di poter parlare apertamente di ciò che comporta un viaggio nel Mediterraneo, delle condizioni di vita in contesti simili, di tutto ciò che ruota intorno alla parola “integrazione”.
Un caso simbolo di tutto ciò è quello che ha visto protagonista Jaiteh Lamin, 32enne ghanese presente ad Hal Far, che lo scorso settembre fu abbandonato al ciglio di una strada dopo essersi ferito gravemente nel cantiere in cui lavorava, lasciato li presumibilmente dallo stesso datore di lavoro. Una vicenda che ha sconvolto l’opinione pubblica.
«Quella del naufragio è un’esperienza che migliaia di uomini, donne e bambini hanno fatto in questi anni nel Mediterraneo. E purtroppo per molti di loro è stata tragica. Ma c’è un altro naufragio che si consuma mentre succedono questi fatti: è il naufragio della civiltà, che minaccia non solo i profughi, ma tutti noi. L’unico modo di salvarci è quello di comportarci con umanità, guardando delle persone non come dei numeri, ma per quello che sono: dei volti, delle storie, e pensando che al posto di quella persone potrei esserci io, mio figlio, mia figlia» questo uno dei passaggi del messaggio lanciato da Papa Francesco al Centro di accoglienza dei rifugiati.
I volti e le storie nel Mediterraneo, in questi giorni, erano rappresentati da quelli a bordo della Sea-Eye 4 che, comunque, nonostante i messaggi lanciati dal pontefice, sembrano non aver “scosso” il Rescue Coordination Center di Malta, che ha rimbalzato la richiesta di aiuto della nave tedesca costringendola, come accade di frequente, a cercare aiuto in Sicilia.
La speranza, termine sempre più centrale quando si affronta il delicato tema dei flussi migratori, è che il messaggio del Papa possa ricordare, almeno nel prossimo futuro, come ogni crisi prima di essere politica, geografica o economica, sia prima di tutto umanitaria.