Il tema dell’aborto rimane un dibattito sempre acceso a Malta, ed un recente documentario pubblicato attraverso la piattaforma social dalla ONG Doctors for Choice ha rivelato non solo come molte donne nel Paese vivano tutt’oggi una situazione di estremo disagio nel non poter scegliere come comportarsi di fronte a situazioni come quella di una gravidanza inaspettata, ma anche le violente minacce ricevute da parte dei medici “pro-choice” a causa del proprio pensiero in merito ai diritti sull’aborto.
Il clima d’odio non si è poi fermato, arrivando ad essere esteso anche a famigliari e agli altri membri dell’associazione.
Questa violenta spirale di disprezzo per chi vorrebbe scegliere cosa fare anche quando la propria vita è a rischio è stata descritta all’interno del documentario, in cui il tema dell’aborto a Malta viene osservato da diverse angolazioni.
Natalie Psaila, uno dei membri di Doctors For Choice, associazione nata nel 2019 per sostenere la campagna Voice For Change della Women’s Rights Foundation, ha raccontato alcuni “particolari” retroscena che l’hanno coinvolta in prima persona, presa di mira da messaggi minatori rivolti anche ai suoi figli.
La stessa situazione pare essersi presentata anche all’interno di alcuni gruppi Facebook pro-vita, in cui le immagini dei medici sono state ricoperte da insulti di varia natura come «Dovresti essere bruciata viva», «Macellai», «Uccidiamo i suoi figli e vediamo se le piace».
Le minacce sarebbero state segnalate alla polizia ed all’unità dedicata ai crimini per incitamento all’odio, ricevendo però, secondo Psalia, una reazione non del tutto all’altezza delle aspettative.
Quello dell’aborto è un tema che, come si intuisce, trova un terreno estremamente arido a Malta; la legge anti-aborto maltese è difatti una tra le più severe al mondo, rappresentando anche un primato, a livello di limitazioni nell’Unione Europea.
Le donne maltesi hanno scarsissime opportunità di abortire; molte acquistano delle pillole online che spesso mettono in pericolo la loro salute, rischiando di doversi rivolgere a qualche medico locale con il terrore di essere denunciate ed arrestate. Altre invece tentano di recarsi oltre frontiera, in Italia o nel Regno Unito, ma è una procedura costosa, che non tutte possono permettersi di scegliere.