Malta continua ad attrarre viaggiatori da molti Paesi affetti da coronavirus o addirittura formalmente in quarantena. L’aeroporto va chiuso immediatamente, scrive Dario Morgante.
Nonostante l’OMS abbia dichiarato il Covid-19 «pandemia globale» con l’Europa come centro del focolaio, Malta non ha ancora attuato il lockdown, come molti altri Paesi, Italia in testa.
C’è di peggio: nonostante un vistoso calo negli arrivi, l’aeroporto di Malta continua a funzionare perfettamente, con decine di voli inbound. A questo link si può osservare il traffico aereo in entrata.
Molti voli sono semi deserti, è vero, e altri ancora riportano a casa maltesi rimasti all’estero, ma altri, come testimoniano immagini apparse sui media, portano turisti e lavoratori.
A chi arriva all’aeroporto di Malta viene fatto sottoscrivere un modulo in cui si dichiara che ci si sottoporrà all’auto-quarantena di quindici giorni. Poi, come nulla fosse e senza alcuna protezione, si attraversa l’aeroporto e si prende un taxi o un autobus.
Che poi la quarantena venga effettivamente osservata è tutto da dimostrare. La polizia ha iniziato i controlli e elevato le prime sanzioni che, ricordiamolo, sono di 1000 euro. Ma il pericolo al quale si sta esponendo il Paese è davvero alto.
Nelle prossime due ore, per esempio arriveranno voli dalla Danimarca (898 casi e 4 morti), Gran Bretagna (1391 casi e 35 morti), Polonia (150 casi e 3 morti) e Grecia (331 casi e 4 morti).
Come questo giornale ha scritto negli scorsi giorni serve un lockdown immediato di Malta su modello italiano. Il tempo passa, il contagio si diffonde, e il Paese finirà comunque in quarantena. Stamattina la Sovrintendente alla salute pubblica, Charmaine Gauci, ha comunicato che i contagiati a Malta sono diventati 30. Tre di essi sono i primi a trasmissione locale, gli altri 27 però sono tutti arrivati da fuori, con un volo di linea.
E se 30 contagiati sembrano pochi basti pensare che, fatte le debite proporzioni, sono l’equivalente italiano di 3900 casi. In Italia quella cifra si raggiunse intorno al 3 di marzo, tredici giorni fa. Quando ancora si pensava di poter contenere il contagio.