La maggior parte degli Stati del mondo sta utilizzando tecniche di sorveglianza digitale e tecnologia mobile per cercare di contenere la diffusione della pandemia.
In Europa e negli Stati Uniti, le grandi aziende tecnologiche hanno iniziato a condividere i dati “anonimizzati” degli utenti di Smartphone per monitorare meglio l’epidemia attraverso la geolocalizzazione. Queste azioni hanno mosso gli attivisti per il diritto alla privacy che, da una parte, riconoscono la necessità di servirsi della tecnologia al fine di salvare vite umane, ma dall’altra temono che i governi possano abusare di questo potere.
«I governi di tutto il mondo richiedono nuovi poteri di sorveglianza straordinari destinati a contenere la diffusione del virus», ha dichiarato l’Electronic Frontier Foundation in un post online. L’Electronic Frontier Foundation è una ONG internazionale con sede a San Francisco che punta alla tutela dei diritti digitali e della libertà di parola nel contesto della globalizzazione.
«Molti Stati potrebbero invadere la nostra privacy, scoraggiare la nostra libertà di parola e gravare in modo sprezzante su gruppi di persone vulnerabili. I governi devono dimostrare che tali poteri sono realmente efficaci, basati sulla scienza, necessari e proporzionati», ha proseguito la ONG.
Le misure di monitoraggio digitale adottate variano a seconda del Paese. In Israele, l’agenzia di intelligence per gli affari interni Shin Bet ha iniziato a servirsi di tecnologia avanzata e dati di telecomunicazione per rintracciare i cittadini. Con la mossa più severa, dal 2 aprile scorso la Cina ha deciso di monitorare la pandemia attraverso un’applicazione per Smartphone che mostra codici distinti nei colori verde, giallo e rosso. I colori indicano agli utenti dove sono autorizzati ad andare in base al loro stato di salute. Il verde è il codice del “via libera”, per il quale l’utente risulta sano e può salire a bordo dei mezzi di trasporto pubblici, soggiornare in albergo o semplicemente entrare a Wuhan, il focolaio del virus dagli 11 milioni di abitanti.
Michael Abramowitz, presidente della ONG americana Freedom House, teme una violazione dei diritti umani nel lungo termine.
«Abbiamo osservato una serie di campanelli d’allarme dai quali emerge che i regimi autoritari stanno usando il COVID-19 come pretesto per sopprimere la libertà di parola, aumentare la sorveglianza e limitare i diritti fondamentali, oltrepassando il limite di ciò che è giustificato da esigenze di sanità pubblica», ha affermato.
Interessante, infine, l’opinione di Ryan Calo, ricercatore presso l’Università di Washington affiliato al Centro per Internet e la Società di Stanford.
«Non sono contrario al fatto di combattere questa epidemia raccogliendo dati o servendosi della tecnologia. […] Il problema che deriverebbe dall’implementazione della sorveglianza nei casi di emergenza è che le persone potrebbero abituarcisi», ha osservato.