Un’irruzione violenta e traumatica che ha stravolto la sua vita. È così che Charlotte Casha, 34 anni, ha descritto in tribunale il blitz delle forze dell’ordine avvenuto il 12 agosto 2024 nella sua penthouse a Marsa, prima di accorgersi di aver sbagliato piano.
La donna sta portando avanti la causa costituzionale intentata contro lo Stato e il Commissario di Polizia per violazione dei diritti fondamentali e trattamento degradante, dopo che quattro agenti della Special Intervention Unit (SIU) hanno fatto irruzione armati e a volto coperto nella sua abitazione senza identificarsi né fornendole alcuna spiegazione, mentre la ammanettavano lasciandola seminuda su una sedia.
Nel dettaglio, erano le 6 del mattino quando Casha fu svegliata di soprassalto dal rumore della porta di casa che veniva sfondata. Ha raccontato che due uomini con indosso una uniforme militare hanno fatto irruzione nella camera da letto in cui stava riposando, svestita e con indosso unicamente delle mutande. Senza proferire parola, l’avrebbero prelevata di forza trascinandola contro al muro per immobilizzarle i polsi con delle fascette di plastica utilizzate al posto delle tradizionali manette, per poi trasferirla in cucina dove è stata fatta sedere.
Confusa e spaventata, Casha ha riferito di aver obbedito agli ordini degli agenti che ha riconosciuto solo in seguito, dopo aver osservato le scritte “SIU” sulle uniformi. Nel frattempo, dalle finestre dell’appartamento, dice di aver notato dei droni che sorvolavano l’edificio, come parte dell’operazione in corso.
La donna ha raccontato di essere rimasta seduta in stato di seminudità di fronte a quattro uomini per oltre venti minuti, un tempo che le è parso interminabile, senza che nessuno le offrisse un indumento per coprirsi, si identificasse, le spiegasse i motivi dell’irruzione o le mostrasse anche solamente il mandato d’arresto.
Solo più tardi, due agenti di grado superiore intervenuti sul posto hanno verificato il documento di identità della donna, liberandola dalle fascette ai polsi e riferendole che non si trovava in stato di arresto, senza aggiungere ulteriori dettagli.
L’esperienza ha creato un profondo trauma nella 34enne tanto che da quel giorno dice di non riuscire più a dormire nella sua camera da letto e di sentirsi al “sicuro” solo sul divano.
Lo stress e l’ansia che sta curando con una terapia farmacologica l’hanno costretta a modificare non solo le abitudini quotidiane e ciò che svolgeva nel tempo libero, ma hanno intaccato anche la sfera professionale e, di fatto, quella finanziaria. Dopo che le è stato diagnosticato un disturbo post traumatico da stress è stata dichiarata inabile al lavoro, perciò costretta a dimettersi dal posto che occupava da otto anni, ovvero quello di operatore nel centro d’accoglienza di Safi, in costante contatto con migranti e persone vulnerabili.
Per tutte queste ragioni, gli avvocati di Charlotte Casha stanno portando avanti una causa costituzionale contro lo Stato e il Commissario di Polizia, sostenendo che l’operazione sia stata condotta in modo arbitrario e degradante, in violazione dei diritti fondamentali della donna.
Dal canto suo, la polizia ha invece difeso l’operazione sostenendo che il blitz facesse parte di una serie di perquisizioni legate a un’indagine sul traffico di esseri umani, quindi gli agenti avrebbero agito secondo un «ragionevole sospetto». Un’indagine interna condotta dall’Unità per gli standard professionali ha stabilito che non c’è stata alcuna negligenza da parte dei poliziotti coinvolti.
(immagine di archivio, credits: Malta Police Force)
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