Charlotte Casha, 34 anni residente a Marsa, ha intentato una causa contro il Commissario di polizia e l’Avvocato dello Stato per violazione dei diritti umani in relazione al blitz avvenuto nella propria abitazione, definito dalla donna come il suo «peggior incubo».
La vicenda risale allo scorso 12 agosto quando, alle 6 del mattino, quattro agenti della Special Intervention Unit (SIU) hanno sfondato la porta della sua penthouse in Triq l-Isqof Francis Baldacchino, a Marsa, nell’ambito di una serie di raid contro il traffico di esseri umani. Secondo le autorità, infatti, quelle quattro mura sarebbero state il covo di uno dei sospettati presi di mira dall’operazione.
I poliziotti, entrati senza preavviso e sfondando letteralmente la porta d’ingresso, sono arrivati nella camera da letto dove la donna stava riposando, svestita e con indosso unicamente delle mutande. Così, senza proferire parola, due agenti l’avrebbero prelevata di forza trascinandola contro al muro per immobilizzarle i polsi con delle fascette utilizzate al posto delle tradizionali manette, poi trasferita in soggiorno dove è stata fatta sedere.
Per oltre venti minuti, Casha è rimasta in stato di seminudità di fronte a quattro uomini, senza che nessuno le offrisse un indumento per coprirsi, le spiegasse i motivi dell’irruzione o le mostrasse anche solamente il mandato d’arresto. Solo all’arrivo di due agenti di grado superiore, tra cui una donna, si è compreso l’enorme errore: il vero sospettato viveva nell’appartamento sottostante.
La polizia, dopo aver verificato solo in quel momento l’identità della donna, l’ha liberata dalle fascette ai polsi e ha lasciato l’abitazione, ma l’esperienza ha profondamente umiliato e turbato la 34enne che, da allora, si è dimessa affermando di non sentirsi più idonea al suo ruolo, ovvero quello di agente di custodia, in costante contatto con persone vulnerabili e detenuti con problemi mentali.
Per le autorità, gli agenti avrebbero agito secondo un «ragionevole sospetto», motivo per cui non sarebbero state riscontrate irregolarità nel loro operato. Tuttavia, Casha ha deciso di portare il caso davanti alla Corte costituzionale, sostenendo di aver subito una violazione dei suoi diritti fondamentali contro l’arresto arbitrario, l’uso spropositato della forza e il trattamento disumano, chiedendo inoltre un risarcimento per i danni materiali e psicologici subiti.