L’avvocato della famiglia di Nicolette Ghirxi, Joseph Borda, ha espresso una serie di critiche rispetto ai resoconti forniti dall’inchiesta indipendente condotta dal Police Complaints Board, che ha sostanzialmente assolto la polizia da ogni responsabilità circa quanto è stato fatto (e non fatto) nel cercare di prevenire il tragico evento.
La 48enne è trovata senza vita nel suo appartamento di Birkirkara nella notte tra l’11 e il 12 agosto scorso, colpita a morte da una serie di coltellate inferte dal suo ex fidanzato, Edward William Johnston, rintracciato successivamente a St. Julian’s dove è stato ucciso dagli agenti di polizia verso i quali aveva puntato la pistola che aveva con sè, in seguito rivelatasi una replica.
L’inchiesta, voluta dal Ministero degli Interni, ha sostanzialmente affermato che non ci sono prove che la polizia abbia fallito nell’adozione di misure utili a prevenire l’omicidio, e che non era presente alcun segnale di rischio imminente da far temere il peggio per Ghirxi.
Tuttavia, attraverso un post pubblicato a mezzo social, Borda ha messo in evidenza diverse incongruenze e punti deboli a suo dire presenti nelle conclusioni del rapporto, a cominciare dalla valutazione del rischio alla quale la vittima si sarebbe rifiutata di sottoporsi, anche se «ci sono prove che non è andata così» dichiara il legale, mettendo in discussione la validità di questa affermazione.
In dubbio anche le modalità con cui si sono susseguite le indagini, visto che «tutti i processi si sono svolti a porte chiuse».
Borda ha criticato il fatto che, nonostante l’ispettore avesse detto a Ghirxi di contattarlo qualora le molestie subite dall’ex si fossero fatte più incessanti, non ci sia stata una vera e propria iniziativa da parte delle autorità. Inoltre, si è chiesto perché non siano state mosse accuse formali contro Johnston, vista la situazione.
E poi, visto che l’aguzzino di Ghirxi era stato inserito nella lista dei ricercati e nei sistemi della polizia, «come è possibile che sia tornato a Malta senza che nessuna azione venisse intrapresa?». Inoltre, anche se, come dichiarato nel rapporto, in quella fase l’ispettore di polizia non aveva alcun motivo per arrestarlo, «la legge stessa dice che se qualcuno rifiuta di collaborare, la Polizia può arrestarlo» ha dichiarato Borda, facendo riferimento all’atteggiamento sprezzante e poco collaborativo dimostrato da Johnston ogni volta in cui era stato contattato dalle forze dell’ordine, negando gli incontri.
Il legale ha criticato la mancanza di interventi tangibili della polizia dato che tra l’8 agosto, giorno in cui Nicolette Ghirxi contattò le autorità informandole “preoccupata” del fatto che Johnston avesse fatto rientro a Malta, e il 12 agosto (giorno dell’omicidio) non ci fu alcuno scambio di comunicazioni tra la vittima e la polizia. Questo perché, secondo Borda, «il questore ci aveva detto che l’email della vittima era ancora in fase di lavorazione».
Nell’inchiesta si dichiara infatti che, nel fine settimana in cui avvenne l’omicidio, l’ispettore era impegnato in un’operazione legata al traffico di esseri umani e, poiché il caso di Ghirxi era stato valutato come “a basso rischio”, non erano state ancora elaborate tutte le informazioni.
Il legale si è chiesto come l’ispettore potesse considerare il caso “a basso rischio” senza aver completato una valutazione approfondita, soprattutto visto che Johnston era stato comunque inserito nella lista dei ricercati, un fatto che avrebbe dovuto indicare invece un potenziale rischio elevato.
Perplessità anche sul rapporto della cyber crime unit, in cui si sostiene che la donna fosse stata contattata dalla polizia per avvisarla riguardo a un falso profilo su un sito di prostituzione. Per Borda, fu la stessa Ghirxi a fare il primo passo denunciando l’accaduto, e non la polizia.
Infine, il legale ha criticato l’interpretazione dell’email inviata l’8 agosto da Ghirxi alla polizia, in cui si dichiarava letteralmente “preoccupata” per il ritorno di Johnston a Malta. «È davvero colpa sua se avrebbe dovuto usare una parola migliore?» si interroga Borda, affermando che il rapporto sembra dare la colpa alla vittima per non aver utilizzato termini più allarmanti, come se ciò avesse giustificato una risposta meno urgente da parte della polizia.