Scarsa supervisione, materiale scadente, lavori eseguiti male. Si possono sintetizzare così le cause principali che hanno portato al crollo dell’edificio nel cantiere di Kordin che nel dicembre 2022 costò la vita al giovane Jean Paul Sofia. È quanto emerso nel processo che vede imputati i costruttori Matthew Schembri e Kurt Buhagiar, gli impresari Milomir Jovicevic e Dijana Jovicevic e l’architetto Adriana Zammit, tutti accusati di omicidio colposo e negligenza.
A testimoniare è stato Alex Torpiano, professore d’architettura nominato per assistere l’inchiesta giudiziaria, che di fatto ha confermato quanto già emerso negli scorsi mesi.
Ebbene, secondo il professionista, l’edificio in fase di ampliamento è crollato per una semplice ragione: è stato costruito male. Torpiano ha infatti affermato che lo spessore di uno dei muri in fase di realizzazione era pari solo al 25% del necessario, mentre un secondo muro di sostegno non sarebbe stato ancorato alla scala dello stabile. Il crollo è stato rapidissimo, circa quattro o cinque secondi: troppo veloce per una struttura ben realizzata.
«La maggior parte dei detriti è caduta fuori dal sito – ha affermato Torpiano – il che mi porta a capire che il muro si è inclinato verso l’esterno ruotando mentre cadeva, trascinato giù dalla struttura crollante».
Un altro aspetto che avrebbe contribuito all’esito tragico consisterebbe nell’assenza di legame tra gli elementi strutturali. Nello specifico, l’architetto ha spiegato che esistono due tipi di legame da applicare alle strutture: quelli tra i muri e quelli che legano l’intera struttura, destinati a prevenire crolli totali in caso di eventi accidentali. «Quando succede qualcosa – ha proseguito Torpiano – è ovvio che quegli elementi strutturali si danneggino. Ma non è accettabile che l’intera struttura crolli».
I progetti includevano rinforzi metallici ma non le istruzioni su dove ancorare il metallo. E in assenza di direttive specifiche, quest’aspetto è finito per essere ignorato e non eseguito dagli operai. Al tempo stesso, però, la presenza di questi accorgimenti nel progetto dimostrano che l’architetto responsabile del cantiere era a conoscenza delle procedure di costruzione da applicare.
L’architetto in questione è l’imputata Adriana Zammit che, sempre secondo Torpiano, non si sarebbe accorta delle mancanze perché poco presente in cantiere. A questo si aggiunge la totale impreparazione della forza lavoro impiegata per la realizzazione del progetto. Degli operai presenti sul luogo della tragedia, soltanto uno avrebbe affermato di avere avuto qualche nozione, appresa nel proprio Paese d’origine, oltre ad aver seguito un corso di aggiornamento a Malta durato appena mezza giornata, senza però saper dire gli argomenti trattati. Tutto il resto della forza lavoro impiegata, in parole povere, stava costruendo un edificio senza saperlo fare.
Infine, ci sarebbero dubbi sulla qualità delle risorse utilizzate nel cantiere. Torpiano ha infatti affermato che nel progetto non compaiono i criteri di resistenza meccanica richiesti sui materiali, e quindi nessuno ha registrato le specifiche delle merci arrivate dai fornitori.
La prossima udienza dedicata alla raccolta delle prove sul caso è prevista per mercoledì 20 marzo.