È passato un anno da quel tragico 3 dicembre, da quell’assurdo incidente sul lavoro che ha messo fine alla giovane vita di Jean Paul Sofia, appena ventenne, vittima del crollo di un edificio in corso di ampliamento, nella zona industriale di Kordin, il cui corpo è stato rinvenuto il giorno successivo tra le macerie.
Ora, dopo un anno fatto dolore, polemiche, inchieste magistrali e pubbliche, ancora non ci sono i nomi dei responsabili delle mancanze che hanno portato a tragedia. Non ci sono condanne, non ci sono colpevoli. Ma ci sono indagati.
E proprio su queste persone la famiglia della giovane vittima ha deciso di rivalersi, chiedendo un risarcimento a tutti i soggetti e aziende coinvolti nel progetto, nessuno escluso. A confermarlo è una causa depositata presso la Prima Sezione del Tribunale Civile, con la quale i genitori di Jean Paul chiedono il pagamento dei danni morali e materiali per la morte del figlio.
Nello specifico, mamma Isabelle e papà John hanno avviato il procedimento nei confronti dell’architetto Adriana Zammit, progettista dell’edificio e dipendente di Infrastructure Malta; del funzionario della Lands Authority, Kurt Buhagiar (accusato in un’indagine separata di traffico di esseri umani), del suo socio d’affari Matthew Schembri, proprietario della AllPlus Limited, dell’appaltatore Milomir Jovicevic e sua moglie e co-amministratore della società Dijana Jovicevic.
In un comunicato citato dai media maltesi ma del quale non abbiamo trovato traccia online, la Fondazione Daphne Caruana Galizia avrebbe dichiarato che l’azione legale intentata dalla famiglia di Sofia è stata presentata alle autorità competenti con il supporto del Public Interest Litigation Network (PILN), una rete di avvocati che offre i propri servizi legali, per garantire un più ampio accesso alla giustizia in un Paese in cui questa è carente.
Questa nuova causa civile si affiancherà al processo penale in corso contro i cinque imputati, oltre che all’inchiesta pubblica sulla morte del giovane.