Ennesima batosta giudiziaria quella subita dalla famiglia di Johanna Boni, la 27enne italo-maltese la cui vita è stata stroncata il 5 gennaio 2016 a Naxxar quando, a bordo della sua motocicletta, è stata travolta da un camion mentre era ferma ad un segnale di stop, con l’autista del mezzo pesante assolto lo scorso marzo da ogni accusa a suo carico. Una sentenza emessa dal terzo magistrato incaricato di seguire il caso, poi messa in discussione dal procuratore generale che aveva evidenziato una errata interpretazione delle prove raccolte sull’incidente che attribuivano le piene responsabilità dell’accaduto proprio alla giovane motociclista, e quindi ora in attesa di giudizio.
Come se non bastasse, la famiglia Boni si è trovata a fare i conti anche con l’operato delle autorità ospedaliere ed i necrofori incaricati alla sepoltura della ragazza che, di fatto, hanno ignorato le richieste dei genitori di vestirla con un ultimo regalo: un abito rosso, la collana ed un paio di scarpe argento che l’avrebbero dovuta accompagnare durante il suo ultimo viaggio.
A scoprire l’ennesima beffa erano stati proprio papà Giuseppe e mamma Josephine che, nel 2019, per accontentare il nonno di Johanna e permettergli di riposare per sempre accanto l’amata nipote, all’apertura della tomba constatarono come la figlia giacesse in un comune sacco di plastica per cadaveri, con i vestiti rinvenuti negli angoli del feretro.
Per questa ragione i genitori della 27enne avevano provato a far aprire gli occhi alla giustizia anche sotto questo aspetto, intentando una causa costituzionale e portando a giudizio l’amministratore delegato dell’ospedale Mater Dei, il ministro della Sanità, l’avvocato di Stato e l’impresaria delle pompe funebri, Anna Falzon, che al tempo aveva acconsentito alle richieste per la sepoltura della giovane.
In aula proprio Falzon, che prima del funerale avrebbe sconsigliato alla famiglia di guardare all’interno della bara per evitare «scene traumatizzanti», avrebbe inoltre confermato di aver consegnato gli abiti forniti dalla famiglia agli operatori funerari, asserendo poi di non essere a conoscenza di come avessero in seguito operato gli addetti alla sepoltura di Johanna.
Successivamente è intervenuto anche il direttore dell’obitorio, il dottor David Grima, che davanti alla corte ha spiegato come spesso nei casi di morte violenta, a seconda delle condizioni della salma, viene adottata la prassi di racchiudere i resti in un sacco per cadaveri, trovando la conferma del supervisore John Cassar, il quale ha confermato come in quel caso particolare il corpo non consentisse di essere rivestito.
A fronte delle testimonianze il giudice ha però confermato come, a causa delle tragiche dinamiche e le gravi lesioni riportate dalla giovane motociclista, l’operato degli addetti incaricati di vestire la salma non costituisca una violazione dei diritti, giustificando il fatto che non l’abbiano comunicato alla famiglia della defunta come un atto di “compassione” compiuto per non arrecare loro ulteriore dolore. L’ennesimo pugno allo stomaco per i genitori di Johanna, con mamma Josephine che, reagendo alla notizia, ha dichiarato al Corriere di Malta:
«Noi Johanna l’abbiamo vista e l’abbiamo anche abbracciata prima della sepoltura, c’era anche il nostro cane. Le abbiamo anche scattato delle foto, a disposizione del magistrato e del ministro della Salute. Coprire una bugia con un’altra bugia non fa una verità. La verità è che non ce l’hanno detto perché non era vero che non potevano vestirla, solamente non erano capaci. Per esempio, se un paziente ha un tumore, il medico non gli dice nulla per compassione?»
Ancora avvolta da profonda tristezza per l’ennesima batosta legale, ha voluto inoltre smentire quello che si legge sui media maltesi di un’eventuale richiesta di risarcimento inoltrata dalla famiglia:
«Ho letto che avremmo chiesto un risarcimento. Niente di più falso, dei loro soldi non m’interessa nulla, abbiamo chiesto solo una degna sepoltura per nostra figlia. Inoltre, la nuova tomba l’abbiamo già comprata. Per me conta solo togliere mia figlia dalla tomba di famiglia di Mosta, il trattamento che ha ricevuto lì mi provoca troppa tristezza ogni volta che andiamo a visitarla»
Chiudendo la nostra breve chiacchierata con l’auspicio che qualcosa cambi attorno le normative maltesi a tutela dei defunti (ad oggi, per esempio, non esiste una legge che contempli il vilipendio di cadavere), ci uniamo ancora una volta al dolore della famiglia di Johanna.