È proseguito nella giornata di lunedì 15 maggio il processo a carico di sette giovani siriani arrestati lo scorso 29 aprile con accuse legate al terrorismo durante un’operazione congiunta tra le forze dell’ordine e l’Europol avviata all’inizio di quest’anno, quando le attività sui social media dei sospettati si erano intensificate, anche se le indagini erano partite già nell’agosto del 2022.
Gli elementi raccolti dalla polizia ed emersi nella precedente seduta in tribunale, indicano che gli imputati avrebbero dato vita ad una vera e propria campagna estremista attraverso messaggi social sovversivi, finalizzati al reclutamento e al finanziamento di attività terroristiche, diffondendo inoltre materiale e conoscenze riguardanti la realizzazione di esplosivi e l’utilizzo di armi da fuoco.
Secondo i media locali, gli inquirenti si starebbero ora concentrando sulla possibilità che Ajil Al Muhsen (21), Adnan Maashi (21), Yazan Abduklaziz (26), Ahmed Kadas (25), Khalil Al Mahmoud (21), Ahmed Ahmed (27) e Mohammed Mohammed (24) stessero cospirando insieme a gruppi estremisti esteri di commettere attività criminali sul territorio locale, in nome di qualche obiettivo politico.
La maggior parte di loro sarebbe arrivata a Malta dopo il 2017, chiedendo asilo al Paese dopo che il governo siriano allontanò le truppe dell’ISIS dalle aree in cui risiedevano.
La fase di raccolta prove contro i giovani, che continuano a dichiararsi non colpevoli, è poi proseguita con delle testimonianze che hanno preso in esame le attività svolte sui social, in particolare sulle piattaforme come Instagram e TikTok, estratte dai dispositivi elettronici confiscati, che hanno così permesso di verificare come la tipologia di contenuti postati fosse identificabile come di stampo jihadista.
Nello specifico, il profilo Instagram del ventunenne Al Muhsen, accusato anche di aver utilizzato un passaporto falso di nazionalità tedesca, sarebbe stato costellato di video del sedicente Stato islamico e numerosi discorsi di predicatori jihadisti riprodotti più di 100 volte dagli utenti e dove, a più riprese, comparivano termini quali jihad, Shahadat (martirio) e sharia.
Anche dai profili degli altri indagati sarebbero emersi elementi “allarmanti”, tra chi parla di complotti orditi dall’Occidente per costringere le donne islamiche a dismettere l’Hijab, ovvero il velo, a chi caldeggia l’uccisione dei musulmani sciiti, considerati traditori dell’Islam e indicati con l’appellativo di Kaffir (“peggiori dei Cristiani”), a chi avrebbe pubblicato alcuni video inneggianti il martirio e gli attentati suicidi intonando una nasheed, ovvero una canzone islamica, utilizzata in un famoso video propagandistico dell’ISIS.
Tra i testimoni un agente di polizia della Cyber Crime Unit ha confermato come i contenuti sospetti detenuti dai sette siriani siano stati preventivamente scaricati e analizzati dalle forze dell’ordine, aggiungendo come l’accusa abbia preferito non rivelare ulteriori dettagli come eventuali spostamenti di denaro verso organizzazioni terroristiche, in quanto un’eventuale fuoriuscita di notizie potrebbe contaminare le indagini attualmente in corso. Il caso tornerà in tribunale il prossimo giovedì 18 maggio.