Una sentenza spietata come una ghigliottina quella subita dalla famiglia di Johanna Boni, la 27enne italo-maltese la cui vita è stata stroncata il 5 gennaio 2016 a Naxxar quando, a bordo della sua motocicletta, è stata travolta da un camion mentre era ferma ad un segnale di stop. Da allora i genitori sono finiti al centro di un vortice di eventi che non hanno fatto altro che accrescere il dolore intorno a questa terribile scomparsa, la peggiore che si possa subire.
La scorsa settimana, infatti, il terzo magistrato che in sette anni ha messo mani sul caso, Nadine Lia, ha assolto da ogni accusa l’autista del mezzo pesante, l’allora 53enne Carmel Cauchi, esonerandolo da ogni colpa ed attribuendo le piene responsabilità dell’incidente proprio alla giovane motociclista che, secondo le carte, avrebbe eseguito una manovra calcolata male nel tentativo di sorpassare il mezzo con carico lungo e con guida a sinistra.
Sebbene il camion fosse nella posizione di avere una corretta visuale della carreggiata, dotato di specchietti opportunamente posizionati, secondo il magistrato l’accusa non è riuscita a dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio eventuali responsabilità da parte dell’autista del mezzo pesante, facendo pertanto cadere ogni colpa sulla giovane motociclista.
Ed è proprio in relazione a questa sentenza che abbiamo raccolto il toccante sfogo del papà di Johanna, Giuseppe Boni, che ancora scosso dal verdetto, ci ha affidato parole piene di dolore senza celare la rabbia e la delusione di un uomo e di una famiglia che gridano giustizia, sentendosi abbandonati da un Paese considerato come una “seconda casa”:
«Assolvere l’autista che ha causato la morte di mia figlia è l’ennesima nefandezza che ci potevamo aspettare da quella che sempre più stento a riconoscere come la mia seconda patria. Mi sembra di vivere in una parte di mondo dove si è “abituati a morire” in questo modo, un’abitudine non comune a quelle persone che vivono in Paesi dove la vita è tutelata, dove non si aspettano 7 anni e 3 mesi per una valutazione che praticamente priva la vita umana di ogni valore! Vogliamo soltanto la VERITÀ, non ci interessano le pene. Mia figlia ha diritto alla verità! Se si accetta questa sentenza si perde l’inviolabilità dei pari diritti umani!»
La sentenza è infatti arrivata come un fulmine a ciel sereno per i genitori della 27enne che non hanno mai smesso di lottare per ottenere la verità sulla morte della figlia, e che tutto si sarebbero aspettati fuorchè un verdetto che attribuisse ogni responsabilità a Johanna.
A tal proposito, anche durante l’udienza si è fatta forte la posizione della famiglia che non si trova d’accordo con la ricostruzione del tribunale, sicuri dei risultati dei rilievi che affermerebbero come la figlia fosse ferma allo stop nel momento dell’impatto, sollevando il rammarico e il sentimento che la sua vita non risulti di valore per la giustizia maltese.
Un ulteriore dolore per la famiglia di Johanna che, come vi avevamo raccontato, si era già trovata a fare i conti con un mondo che non dimostra compassione e che ha visto le autorità ospedaliere ed i necrofori incaricati alla sepoltura della ragazza ignorare le richieste dei genitori di vestirla con un ultimo regalo: un abito rosso, la collana ed un paio di scarpe che l’avrebbero dovuta accompagnare durante il suo ultimo viaggio.
A scoprirlo erano stati proprio papà Giuseppe e mamma Josephine che, nel 2019, quasi per caso ma soprattutto per accontentare il nonno di Johanna e permettergli di riposare per sempre accanto l’amata nipote, all’apertura della tomba constatarono come la figlia giacesse in un comune sacco di plastica per cadaveri, con i vestiti rinvenuti negli angoli del feretro.
La storia scosse profondamente l’opinione pubblica ed i genitori che indirizzarono una lettera giudiziaria nei confronti delle autorità maltesi ree di non aver concesso una dignitosa sepoltura alla figlia, come garantito dalla legislazione e dall’umano rispetto.
Stringendoci con affetto e dolore attorno alla famiglia di Johanna, rimaniamo in attesa della decisione del procuratore generale che nelle prossime settimane sarà chiamato a decidere riguardo l’appellabilità di una sentenza che sembra riportare ancora molte ombre, lasciandovi ad una citazione del drammaturgo Bertolt Brecht, affidataci proprio da Giuseppe Boni:
«Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente».
(foto su gentile concessione della famiglia Boni / Mifsud)
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