Secondo i dati presentati al Parlamento ed estrapolati da JobsPlus, il boom economico dell’ultimo decennio maltese si sarebbe tradotto in una massiccia importazione di lavoratori provenienti dall’estero che, sempre secondo gli ultimi numeri, sarebbe corrisposto parallelamente alla diminuzione di lavoratori maltesi nelle mansioni contraddistinte da fasce salariali più basse.
Pertanto, nonostante la crescita significativa di forza-lavoro autoctona dal 2012 al 2022 (155.000 – 174.000), sarebbero pochi i maltesi impiegati nei lavori “più umili”, ovvero quelli contraddistinti da un salario inferiore ai 20.000 euro annui, calati di un ulteriore 29,1% dai 108.000 del 2012 ai 77.000 dell’anno scorso.
Ad occupare gli slot dei posti di lavoro che i maltesi non accettano più, ci sarebbero i lavoratori provenienti da Paesi terzi, cresciuti dagli appena 3.000 che si contavano nel 2012 ai 29.000 nel 2022.
A conferma di questi dati forniti da Malta Today, nel 2012 erano 108.000 i cittadini maltesi che guadagnavano meno di 20.000 euro l’anno mentre, l’anno scorso, se ne sono contati “solamente” 77.000. In tutte le altre fasce salariali si è registrato un aumento della forza lavoro maltese.
Ed è proprio il report consegnato alla Camera dei Rappresentanti a confermare l’exploit dei lavoratori extra-UE, dai 3.560 del 2012 ai 37.000 del 2022.
Sull’argomento è intervenuto ai microfoni del quotidiano locale il professor Manwel Debono, che così ha descritto il mercato a due facce creatosi sull’arcipelago che vede cittadini dei Paesi Terzi accettare i lavori “più umili” perdendo, al contempo, presa sui maltesi:
«Ci sono molte ragioni alla base di questo fenomeno come, per esempio, la maggiore propensione degli stranieri ad accettare tali lavori, la mancanza di legami sociali, le difficoltà linguistiche, l’incompatibilità delle loro qualifiche con le nostre esigenze, le nostre strutture sociali che riducono le loro opzioni, oppure, semplicemente, per un fenomeno di discriminazione. I cittadini di Paesi terzi vengono spesso trattati come merce, piuttosto che come essere umani»
Proprio lo psicologo del lavoro sarebbe tornato in seguito sulle conseguenze dell’emergere di questo mercato chiaroscurale che, secondo Debono, sebbene porterebbe numerosi vantaggi ai datori di lavoro ed imprese, convergerebbe inevitabilmente in uno scenario di crescenti difficoltà e problematiche sociali per gli stranieri:
«Non è nell’interesse della nostra società continuare a consentire l’accrescere di tali disparità socio-economiche. Se i lavoratori stranieri dovessero soffrire di condizioni di minore salute o scarsa sicurezza sul lavoro sarebbe il sistema sanitario pubblico a farne le spese, mentre, la mancanza d’integrazione nella nostra società di queste famiglie comporterebbe maggiori attriti all’interno delle scuole pubbliche»
Sempre secondo il Malta Today, che ha avuto accesso ai dati dello studio, negli ultimi cinque anni la forza lavoro proveniente da Nepal, India ed Albania sarebbe quella caratterizzata da una crescita più grande, con i lavoratori extracomunitari che supererebbero quelli provenienti dall’UE per la maggior parte dei settori economici, basti pensare al numero dei lavoratori indiani che è passato dai 443 del 2016 ai 5.817 del settembre 2021, o ancora, i lavoratori nepalesi passati dagli appena 29 di sette anni fa ai 2.481 dell’anno scorso. Praticamente raddoppiato il numero di lavoratori italiani che dal Belpaese sono sbarcati a Malta in cerca di fortuna (5.724 – 10.038) durante lo stesso lasso di tempo.
I settori che avrebbero attinto maggiormente alla fonte degli impiegati extra-comunitari sarebbero i servizi amministrativi e di supporto (6.296), l’edilizia (5.296), l’hospitality (5.502) e la sanità (4.358), mentre, al contempo, l’apporto dei quelli UE si concentrerebbe nei servizi finanziari, lavori che richiedono specializzazioni e nel settore dell’intrattenimento.