Al grido di “Women United Against Injustice”, ieri, 8 marzo, nella giornata universalmente dedicata alle donne, tantissime di loro sono scese in piazza unendosi alla marcia che, dalla Fontana dei Tritoni a Floriana si è conclusa davanti al Tribunale.
Una protesta che ha fatto leva sulle numerose ingiustizie perpetrate quotidianamente sulle donne, in particolare quelle che cercano aiuto dalle istituzioni, ma che puntualmente rimangono inascoltate.
Le attiviste hanno infatti sottolineato la condizione in cui versano molte donne che si rivolgono alla legge sperando di trovare protezione, sostegno o giustizia, ma né loro né le loro famiglie vengono ascoltate, finendo così per diventare vittime di quel sistema che avrebbe dovuto proteggerle.
«La Festa della Donna è stata organizzata per molti anni da gruppi di donne in tutto il mondo e recentemente anche a Malta, perché la società in cui viviamo non è costruita sulla giustizia sociale, bensì su un sistema patriarcale dominato dagli uomini in ogni senso della parola, dove le donne sono svantaggiate, disprezzate, umiliate, violentate, maltrattate, sfruttate e persino assassinate» hanno affermato le manifestanti, sottolineando che «Gli uomini gestiscono ancora la maggior parte delle istituzioni sociali, politiche, legali, sanitarie, dei media, religiose, dei consigli e del parlamento, dove approvano le leggi che dovrebbero proteggere tutti i cittadini, non solo quelli che hanno il potere».
E poi ancora: «Quando abbiamo un parlamento, un tribunale, un sistema sanitario ed educativo conservatore dominato da uomini, è impossibile pensare che le donne raggiungano l’uguaglianza».
Imbracciando cartelloni con le scritte “Lo Stato ci ha deluso”, “Non sarò libera finchè ogni donna non lo sarà”, “Ricorda i nomi di Paulina, Bernice, Rita”, e marciando al ritmo del suono dei tamburi, le donne scese in piazza hanno inoltre puntato i riflettori sullo spinoso tema dell’aborto: «Gli uomini pensano di avere diritti sul nostro corpo, che la donna resti ancora la principale responsabile dei figli e delle faccende domestiche e che non è facile raggiungere l’equilibrio tra vita lavorativa e vita personale. Nel frattempo “certi professionisti” la giudicano perché va a comprare la pillola del giorno dopo, bersagliandola con commenti sessisti sul luogo di lavoro, sui social, per strada, e in famiglia».
«Come stupirsi, quindi, che nella Malta di oggi, membro dell’Unione Europea, un Paese orgoglioso dei diritti civili, una donna possa ancora essere mandata in prigione se cerca di abortire, e c’è ancora chi è d’accordo con questo?» hanno sottolineato le attiviste, ricordando le attuali leggi sull’aborto in vigore sull’arcipelago, tra le più stringenti di tutta Europa, che vietano la pratica in qualsiasi circostanza.
Senza dimenticare quanto avviene nei tribunali definiti “dell’ingiustizia”, tra ritardi interminabili, confusione, cause rinviate, onorari degli avvocati, pregiudizi, documenti che non si trovano più, mancanza di coordinamento tra i dipartimenti, mancanza di risorse e soprattutto mancanza di giustizia.
«Molte donne vengono umiliate dalle domande che ricevono. Ad esempio su cosa indossavano o quanti partner avevano quando sono cadute vittime di stupri o molestie sessuali» hanno evidenziato le manifestanti, domandandosi come mai ci sono casi in cui il carnefice, che ha picchiato, maltrattato, violentato e persino ucciso una donna, riceve una condanna assurda, come la sospensione condizionale della pena, oppure dopo qualche mese di reclusione viene giudicato non colpevole perché non è stata fatta un’adeguata raccolta prove di persone, come nel caso di Sion Grech. Oppure altre situazioni come quella di Bernice Cassar, che aveva cercato aiuto e protezione dalle istituzioni, ma che è finita per essere uccisa.
«Perché continuiamo a far passare il messaggio che questi reati non sono abbastanza gravi e che chi li commette può farla franca? Dov’è la legge sull’uguaglianza che non è ancora stata vagliata dal Parlamento? Perché nessuno si fa carico di questo fardello e tutto va avanti come se niente fosse e nel frattempo le donne continuano a pagarne le conseguenze fino alla morte?» hanno chiesto le donne in protesta, rivolgendosi alle istituzioni affinchè lavorino con maggiore serietà per una società più giusta, in cui non si deve essere costretti ad assistere a tragedie dove altre donne vengono ingiustamente ammazzate, violentate e maltrattate, dove si organizzino funerali e veglie senza che poi cambi mai nulla.
«Vogliamo giustizia in ogni campo sociale e ancor di più nelle istituzioni chiamate a fare giustizia. Quanto tempo dovremo aspettare? Perché ora siamo stufe anche di essere stufe».
La marcia di protesta è stata organizzata da Moviment Graffitti, insieme a MGRM, Doctors for Choice, Women’s Rights Foundation e Young Progressive Beings, e sostenuta dalle organizzazioni Aditus, Malta Women’s Lobby, Merħba Bik, Women for Women, YMCA, Migrant Women Association Malta, Integra, ARC, IVY, Dance Beyond Borders, Allejanza Kontra l-Faqar, MAWB, Men Against Violence, Għajjejt u Xbajt.