Un’analisi approfondita, resa secondo il racconto personale dell’autore, che attraverso diverse fonti tenta di mettere a confronto il mito con la realtà di oggi
Nevicò davvero a Betlemme nel Natale del Signore?
Una domanda che mi posi durante un lungo viaggio in Israele, alcuni anni fa, da indurmi a fare alcune ricerche al fine di poter finalmente dare una risposta esaustiva a questo quesito.
Mentre i ceppi bruciano nei caminetti ed i bambini, commossi e felici, si prodigano ad abbellire di brillanti ninnoli il simbolico abete o a disporre in accurato ed armonioso ordine le statuine di gesso o plastica nel Presepe, dal cielo cadono sempre più fitti i fiocchi di neve. E la bianca bambagia viene cosparsa dalle manine dei bambini sull’abete rutilante di ori e di doni e sulla campagna e lungo le piccole strade che conducono alla Stalla.
Non si concepisce infatti un Presepe o un albero di Natale senza la bianca coltre di neve, come senza neve non si concepisce un Natale. Ma il paesaggio dei Presepi dei nostri bambini è una riproduzione fedele (almeno per certi aspetti) di quello reale del Natale del Signore?
A leggere quanto a tale proposito racconta il palestinologo francese Victor Guerin nei suoi scritti sulla Terra Santa: «Durante il verno, quando è la stagione delle piogge, talvolta esse si trasformano in neve, ed allora un bianco lenzuolo copre la Città Santa» e mentre nelle notti serene «il cielo stellato è di tale luminosa trasparenza che senza lumi si può comodamente viaggiare, servendo da fari la luna e le stelle» gl’inverni sono d’altronde benigni e «la neve è di corta durata».
Se queste notti palestinesi sono in genere ben riprodotte nei nostri Presepi in quanto a chiarore generale e a lucentezza stellare, cerchiamo d’indagare meglio quanto accade per quanto riguarda la neve.
Apriamo un atlante e guardiamo questa porzione di Terra che ebbe l’onore ed il vanto di dare i Natali al Signore. La scienza ci dice che nel periodo terziario il tavolato palestinese fu perturbato da grandiose fratture le quali originarono la fossa del fiume Giordano e del Mar Morto. Il tavolato pertanto rimase diviso in due parti: quella orientale o transgiordanica e quella occidentale o cisgiordanica. Quest’ultima porzione, sulla quale è appunto appollaiata Betlemme, subì altre minori fratture di cui è inutile occuparci ed attualmente si eleva fra la depressione di ovest declinante sul Mediterraneo e quella di est cadente attraverso il deserto di Giuda, verso la fossa giordanica. L’altopiano cisgiordanico è al nord più elevato e accidentale, mentre nella zona centrale assume l’aspetto di una dorsale serpeggiante fra i due versanti, dorsale nella quale corre l’unica strada in senso longitudinale e sulla quale si trovano appunto i maggiori centri abitati come Hebron, Betlemme e Gerusalemme.
Data questa configurazione e posizione geografica, il clima della Palestina in generale è influenzato dalla situazione tra Mediterraneo e deserto. Nella fascia costiera la mitezza degli inverni si avvicina al clima mediterraneo, mentre la secchezza dell’atmosfera, la scarsa presenza delle piogge e la concentrazione di esse in un solo semestre richiama il clima desertico.
Nella fascia costiera litoranea la temperatura media si aggira sui 20 gradi con inverni prevalentemente miti, ma non appena si accenni a trasferirsi sull’altopiano le medie autunnali delle temperature sono assai più basse e l’inverno ancora più rigido. Le statistiche, pertanto, ci dicono che a Gerusalemme la temperatura minima media si aggira intorno ai 7 gradi. Betlemme, situata, a 777 metri di altezza sul mare distante circa nove chilometri da Gerusalemme e a circa trenta da Hebron, non può differire granchè da questi minimi.
Un altro importante fattore da tenere in considerazione è la concentrazione delle piovosità nel semestre invernale caratteristica di questa regione, talché a Gerusalemme i 5/6 della quantità totale di pioggia cadono fra novembre e febbraio. C’è anche un’altra questione che può interessare a questo scopo. Si sa che quanto più scendiamo verso sud, tanto più si restringe il periodo dell’anno in cui le precipitazioni possono essere nevose, fino a che, al di sotto di una certa latitudine, la neve risulta essere un fenomeno alquanto sconosciuto. Questa latitudine che costituisce il limite delle nevi è una linea che seguendo all’incirca l’andamento delle cisterne invernali, nel Mediterraneo segue pressappoco la sponda africana, presso il 35° di latitudine Nord, scendendo però fino a 20° di latitudine Nord a mano a mano che ci si dirige verso l’oriente.
Betlemme è situata a circa 32°, dove sembrerebbe che non possa nevicare, se non difficilmente; non si può dimenticare però che la durata della stagione nevosa cresce, oltre che con la latitudine tecnica, anche con l’altitudine. Sotto la nostra latitudine infatti la neve in pianura è esclusivamente dei mesi invernali, ma via via che si innalza nelle regioni montuose il pericolo si allunga finché, oltre una certa altezza, si può avere neve in tutte le stagioni dell’anno.
Non è però solo la latitudine, l’altitudine e la temperatura che contano: c’è anche l’esposizione alla radiazione solare e ai venti più o meno umidi, che hanno poi un’influenza notevolissima nella persistenza della neve caduta. Come notate, non è quindi molto semplice poter affermare con certezza se nel Natale del Signore abbia o no nevicato. La dolce leggenda, che vuole il Divino Bambino riscaldato dal bue e dall’asinello nella fredda stalla mentre nell’aria immota candidi fiocchi di neve cadono silenziosamente, combacia quindi con una possibilità che non è del tutto da scartare.
(testo: Vincenzo Palazzo Bloise, photo credits: Ben White / Unsplash)